Italia e Israele, scrittrici a confronto

Casa delle letterature Roma - Liebrecht, Rotem, Levi “Non possiamo cambiare il passato – spiegava la scrittrice israeliana Judith Rotem – ma possiamo scegliere come raccontarlo, quali percorsi seguire per farlo, e in questo modo è il passato che ci cambia, che influenza il nostro presente e futuro”. Sette percorsi differenti, sette esperienze che affondano le proprie radici in terreni diversi, con analogie e dissonanze, sette scrittrici per dialogare su “Le radici e le ali”. Questo il tema cuore della due giorni romana di cui sono state protagoniste tre delle più importanti voci della letteratura israeliana al femminile, Judith Katzir, Savyon Liebrecht e Judith Rotem, che si sono confrontate con le “colleghe” italiane, Milena Angus, Lia Levi, Rosetta Loy e Chiara Valerio. Una tavola rotonda, organizzata dall’ambasciata di Israele in Italia e dalla Casa delle letterature, per riflettere sul passato nei giorni della celebrazioni del 27 gennaio che ha messo a confronto letterature diverse così come esperienze personali differenti, aprendo diversi spunti di riflessione sulla Memoria e l’influenza che ha avuto nella costruzione delle coscienze civili e letterarie dei due paesi. Il programma dell’evento è stato curato da Ofra Farhi, addetta culturale dell’ambasciata israeliana, in collaborazione con Maria Ida Gaeta, direttrice della Casa delle letterature.
Uno dei fili conduttori dei due incontri è stato il trauma della Shoah, come è stato vissuto personalmente dalle scrittrici, chi per esperienza diretta, chi per averne letto e studiato la portata distruttrice. Lia Levi, che riuscì a scampare alla deportazione, ha ricordato come sin da piccola aveva la passione per il racconto ma venuta a conoscenza delle storie dei sopravvissuti “la mia voglia di raccontare si arrestò”. Era il pudore, che la scrittrice definisce vergogna, di fronte all’immensità di dolore di cui erano cariche le testimonianze di chi era tornato dall’orrore. Poi il desiderio di scrivere è riaffiorato in particolare per arginare il tentativo italiano di sminuire le proprie responsabilità di fronte alla Shoah e alla persecuzione ebraica. “Negli anni Novanta in particolare si cercava di far passare il messaggio di ‘italiani brava gente’ di un fascismo all’acqua di rose: le leggi razziste furono durissime e applicate ovunque in Italia. Questo non può essere dimenticato”. E la creatività letteraria che, nelle parole della Levi, aiuta a coltivare la Memoria, a darvi consistenza.
In Israele un’altra problematica si sviluppò all’indomani dell’arrivo dei sopravvissuti e nel processo di costituzione dello stato: il silenzio sul passato che la maggior parte dei testimoni fece cadere sulle proprie vicende. “La storia lì buttò in un nuovo mondo – afferma Liebrecht, autrice di romanzi e di opere teatrali, nata in Germania nel dopoguerra – con la difficoltà di portarsi dietro la Shoah e di dover ricominciare una vita, una famiglia, praticamente tutto dall’inizio”. In quelle famiglie cadde il silenzio: c’era chi voleva tutelare i figli, chi temeva di non essere ascoltato e chi effettivamente si scontrava contro la ritrosia di chi li stava attorno. “Nella mia famiglia non si parlava affatto della vita precedente, ancora oggi non so quanti fratelli e sorelle avessero i miei genitori”, ricorda Liebrecht che appartiene alla seconda generazione, figlia dei sopravvissuti e di quel silenzio. “Non so a quale generazione appartengo io – confessa invece Judith Rotem, nata a Budapest e sopravvissuta con la famiglia grazie al famoso intervento di Rudolf Kastner – ma anche da me non si parlava. La mia era una famiglia ortodossa e anche loro, come tanti altri ebrei religiosi, si posero il problema di Dio e la Shoah: loro però non volevano vivere in un mondo senza Dio. Dicevano ‘noi non possiamo capire’. E mio padre divenne ancora più rigidamente osservante”. A lungo parte del mondo ultraortodosso israeliano, la Rotem è rimasta fuori dalla realtà letteraria per una prima parte della sua vita, per poi diventare una delle voci più apprezzate d’Israele.
Le radici, dunque, sia per Rotem come per Liebrecht affondano nel passato di un trauma che ancora inevitabilmente influisce sulla vita e il presente di Israele, capace però di costruirsi un futuro. Ma fondamento di questo futuro è anche il percorso dello Yishuv, di quei pionieri ebrei che costruirono la base per la creazione dello stato di Israele, di quella generazione di cui è figlia Judith Katzir, il cui ultimo racconto, legato a una vicenda famigliare, traccia le tappe proprio di questa costruzione.

(30 gennaio 2014)