Informazione – Perché scrivere da Ramallah

Ramallah, il City Center Blg“Nel 2014 è impossibile capire e raccontare Gerusalemme senza seguire quanto accade a Ramallah e viceversa”. La capitale di Israele e la sede del governo e del parlamento dell’Autorità nazionale palestinese hanno molti punti di contatto, secondo il giornalista Maurizio Molinari. E per questo La Stampa, che a Molinari ha di recente affidato la copertura del Medio Oriente, ha deciso di aprire proprio a Ramallah una nuova sede (nella foto l’edificio di Al Manara square, sede del giornale), primo quotidiano italiano a farlo.
Diversa dal resto delle città della Cisgiordania e lontana dalla violenza di Gaza, Ramallah è “una città effervescente”, spiega Molinari al Portale dell’ebraismo italiano. “Un mondo molto simile e interconnesso a quello di Gerusalemme, e infatti le due realtà stanno vivendo un momento di convergenza”. Trenta minuti di macchina dividono le due città e in genere la tratta è trafficata, sottolinea il giornalista de La Stampa, quasi quanto la Gerusalemme-Tel Aviv. “Qui nessuno parla dei negoziati e di pace, tutti sono disillusi e non si fidano, come gli israeliani, della propria controparte – afferma Molinari – ma non c’è rassegnazione sul piano sociale. La città sta vivendo un boom, è vivace dal punto di vista commerciale e culturale”. Per questo il quotidiano torinese ha deciso di rivolgere la sua attenzione a Ramallah, inaugurando la redazione nel City Center Building, edificio che si affaccia su piazza Al Manara, snodo principale della città.
“Girando per le strade si nota un desiderio di guardare avanti, ci sono attività commerciali che aprono, donne eleganti che fanno la fila davanti a costosi negozi di abbigliamento, siamo davanti a uno spaccato sociale molto vivo – sottolinea il giornalista, che sul quotidiano torinese aveva dato un assaggio delle sue impressioni sul nuovo corso di Ramallah – Io ero qui nei primi anni ’80, è la situazione è radicalmente cambiata. Attenzione parlo di questo mondo, non di Hebron o altre città e, ovviamente, nemmeno di Gaza, rimasta allo scontro violento con gli israeliani”. Gaza sì è rimasta agli anni Ottanta e le violenze di ieri, con il lancio di cinquanta razzi contro Israele, lo dimostrano.
La più popolosa città della Cisgiordania, invece, ha una stretta connessione anche “logistica con Israele. Mi sono stupito nel vedere che tutti i caffè qui hanno il wi-fi libero, grazie alle forniture di energia dei vicini israeliani”. Molti hanno lasciato la Cisgiordania in questi anni (10mila persone l’anno, riferisce Molinari, e secondo alcuni 20mila), in particolare cristiani. Un esodo che a Ramallah non c’è stato. “Qui l’economia è in movimento – afferma Molinari – le persone cercano di aprire nuove attività. Il maggior datore di lavoro è comunque l’Autorità nazionale palestinese per cui lavorano, nei diversi settori, circa 100mia persone”. Ma c’è anche chi arriva da fuori come un uomo trasferitosi da Long Island a Ramallah per aprire un agriturismo. “È convinto nel suo investimento. Le autorità gli hanno detto ‘ma non c’è una strada e noi non abbiamo i soldi’ e lui è disposto a farsi carico anche di questo”.
Disillusione realista che non porta alla rassegnazione, al nascondere la testa sotto la sabbia. Gli israeliani convivono da anni con questa sensazione, sfiduciati da un partner dimostratosi più volte inaffidabile per una pace duratura, ma non per questo abbandonatisi all’autocommiserazione. Guardandola con gli occhi di Molinari, sembra che anche Ramallah abbia abbandonato il suo torpore: non crede nella pace ma comunque in un futuro.

Daniel Reichel @dreichelmoked

(13 marzo 2014)