Giardino dei Giusti a Torino
Ognuno di noi ha i “suoi” Giusti – quelli che hanno salvato la sua famiglia dalle persecuzioni nazifasciste – e con loro (o con le loro famiglie) ha mantenuto i contatti attraverso i decenni con visite, incontri, pranzi o cene, come in una sorta di rituale laico dedicato alla gratitudine. Non tutti i Giusti, però, hanno avuto la possibilità di creare questi legami: non tutte le persone aiutate e protette hanno potuto salvarsi, non sempre i salvatori conoscevano i nomi dei salvati o i salvati quelli dei salvatori. Il Giardino dei Giusti inaugurato ieri al parco Colonnetti di Torino si compone di 36 alberi (il numero dei Giusti presenti nel mondo secondo il Talmud), in modo da celebrare tutti i Giusti, noti e ignoti, quelli che hanno conservato i legami con i “loro” salvati e quelli che hanno perso i contatti, quelli di cui si può ricostruire l’operato e quelli le cui azioni nessuno potrà mai tramandare. Senza con questo negare quanto sia essenziale che si ricerchi il maggior numero possibile di nomi (la Comunità di Torino ne ha ricostruiti circa 600 tra Piemonte e Valle D’Aosta), pur con la certezza che molti non potranno mai essere celebrati adeguatamente.
È significativo che il Giardino si trovi nella via dedicata al partigiano ebreo Emanuele Artom, zona un tempo considerata malfamata e oggi riqualificata: simbolo (come ha sottolineato l’assessore comunale Ilda Curti) di un futuro che non deve fare paura ma deve essere rinnovato e vissuto, in cui si inserisce una memoria che deve essere di tutti, con un pensiero particolare ai giovani del quartiere, i cui genitori spesso arrivano da molto lontano. In mezzo al Giardino è stato collocato un masso erratico proveniente dalla Val Pellice, dove molti Giusti hanno agito e molti ebrei hanno trovato la salvezza; per lo stesso motivo alla cerimonia di inaugurazione di ieri il coro dell’Associazione ex allievi della scuola ebraica ha intonato anche una canzone occitana.
Anna Segre
(28 marzo 2014)