strumenti…

Parlando dei sacrifici che il Kohèn Gadòl portava personalmente nel giorno di Kippùr, la Torà utilizza una parola che sembra pleonastica: “Be-zò’th yavò’ Aharòn el ha-qòdesh”, “con questo verrà Aharòn nel luogo santo”, laddove bastava indicare con che cosa. Da qui si ricava che Aharòn portava non solo il manzo e il montone indicati nel versetto, ma qualcosa in più. I Maestri hanno osservato che la parola “zò’th” (questo) ha come valore numerico 408; esistono tre parole di uguale valore numerico (136), che sommate fra loro darebbero appunto 408: “tzom” (digiuno), “qol” (voce) e “mamòn” (denaro). Questo indicherebbe che oltre ai sacrifici il Kohèn Gadòl doveva presentarsi “portando” con sé pentimento (“digiuno”), preghiera (“voce”) e beneficenza (“denaro”). Pertanto, anche ai tempi del Beth Ha-Miqdàsh non erano solo i sacrifici che garantivano l’espiazione e il perdono, bensì il pentimento, la Tefillà e le opere di bene. Sono gli strumenti che ci sono rimasti oggi, tanto più importanti in quanto non più supportati dai sacrifici. Oggi che non c’è più il Kohèn Gadòl, è ognuno di noi che deve portarli con sé.

Elia Richetti, rabbino

(10 aprile 2014)