I cibi della libertà

anna segrePesach – lo sperimentiamo tutti gli anni – arriva ben prima del 15 di Nissan: entra nelle nostre vite poco a poco già settimane prima con le pulizie, i pacchi di pasta da finire e non ricomprare, la casa e il frigorifero che si svuotano per poi riempirsi di pacchi e pacchetti rigorosamente sigillati, gli armadi già kasher da non confondere con quelli ancora da kasherizzare. È difficile sostenere che tutte queste operazioni ci facciano gustare in anticipo la liberazione imminente; casomai ci fanno capire che il cammino verso la libertà è arduo e impegnativo.
Simmetricamente, Pesach si prolunga ben oltre il 22 di Nissan: è vero che c’è chi corre a mangiarsi una pizza la sera stessa in cui la festa finisce, ma in realtà nessuno arriva a fine Pesach con la casa vuota e la necessità di precipitarsi a fare acquisti: le provviste accumulate per la festa con un po’ di abbondanza per essere sicuri di non restare senza, o nell’eventualità di ospiti imprevisti, durano ancora per giorni, se non per settimane. Ecco quindi che i simboli della libertà prolungano i loro significati nella nostra vita quotidiana, con sovrapposizioni forse casuali ma interessanti: oggi festeggiamo il 25 aprile e la Liberazione mangiando matzot (chi non ne ha ancora qualcuna in casa?); forse tra sei giorni, mangiando azzima pesta e spalmando formaggini kasher le-Pesach, ricorderemo la schiavitù in Egitto e celebreremo la festa dei lavoratori considerando quanta strada è stata fatta da allora e quanta ne resta da fare perché il lavoro non sia più una schiavitù per nessuno in nessuna parte del mondo.

Anna Segre, insegnante

(25 aprile 2014)