Milano – Disobbedienza civile e tradizione ebraica
Quando si pone il problema della disobbedienza civile? In che modo il concetto è presente nella tradizione ebraica? E quali sono le risposte elaborate dai Maestri? A interrogarsi il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni a fianco del giudice Ferdinando Imposimato, presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione, nella conferenza organizzata dall’associazione Kesher presso la Comunità ebraica di Milano.
A sottolineare l’attualità del tema e gli spunti offerti dal confronto tra due personalità dal retroterra differente, il rabbino e il giudice, è stato rav Roberto Della Rocca, direttore del dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e guida di Kesher.
“L’esempio più antico di disobbedienza civile si trova nel libro di Shemot, durante la schiavitù egiziana, nel momento in cui alle due levatrici venne ordinato di uccidere tutti i neonati ebrei e loro non lo fecero, ‘per timore di D-o’ spiega il testo” ha ricordato rav Di Segni, aprendo una riflessione sulle situazioni di conflitto tra l’imposizione di una legge e la coscienza di chi ritiene di obbedire a una legge superiore, partendo dalla vicenda che ne è considerata l’archetipo nella tradizione occidentale che prende spunto dalla cultura greca: il mito di Antigone. Se nella tragedia di Sofocle, Antigone va incontro alla morte per aver scelto di seppellire il cadavere del fratello, che il re aveva ordinato di lasciare esposto, un episodio per molti versi simile è raccontato nel Libro di Samuele, circa 500 anni più antico ha messo in evidenza il rabbino capo di Roma. È la storia di Rizpah, che di fronte all’ordine di lasciar esposti i corpi dei suoi figli, insieme a quelli di altri discendenti del defunto re Saul, uccisi per porre fine a una terribile carestia scatenata in Israele per colpa di una grave mancanza di Saul, la violazione di un patto con la popolazione dei gabaoniti, reagisce: per mesi veglia sui defunti fino a che Davide non pone fine alla vicenda permettendone la sepoltura.
“I Maestri spiegano che la ragione per cui Davide assume una decisione così terribile, apparentemente in violazione di un così tanti precetti ebraici, fu mostrare l’importanza di rispettare i patti, dunque che lui stesso agì per un bene superiore. Ed è da notare che Rizpah non contravviene all’ordine, e trova allo stesso tempo un modo per mettere in crisi il sistema”.
Esistono solo tre ipotesi in cui la legge ebraica richiede di sacrificare la vita piuttosto che trasgredire i precetti: idolatria, omicidio e atti sessuali gravi, ha poi concluso rav Di Segni.
A ricordare l’altissimo esempio di civiltà giuridica offerto dalla tradizione ebraica, a partire dalle leggi noachidi fino alla storia di Mosè è stato il giudice Imposimato. “Principi che oggi potrebbero apparire scontati, come il divieto di assassinio, all’epoca non lo erano affatto, per non parlare della straordinaria modernità del concetto di giusto processo, che è entrato nella nostra costituzione solo nel 1999, e che invece era già contemplato nei suoi pilastri fondamentali, principio del contraddittorio, prova legale, pubblicità”. Principi che si intrecciano strettamente con il concetto di disobbedienza civile perché, ha ricordato il magistrato, se a prima vista bisogna affermare che i cittadini sono sempre tenuti a rispettare le leggi del luogo in cui vivono, bisogna invece realizzare che questo vale in maniera assoluta solo per le norme che tutelano i diritti inviolabili dell’uomo, così dettagliatamente contenuti nelle stesse leggi noachidi.
“Ecco perché le leggi razziste non solo potevano, ma dovevano essere rifiutate, ed è una vergogna che in così pochi scelsero di farlo”. Imposimato ha ripercorso alcune tappe della sua carriera, i processi per le stragi di cui è stato protagonista, il suo impegno contro il progetto dell’alta velocità, la sua convinzione della necessità di rendere reato il negazionismo.
In conclusione una doverosa precisazione di rav Della Rocca su un fraintendimento del giudice rispetto alla cosiddetta legge del taglione “che va interpretata non letteralmente, ma come l’obbligo di pagare l’equivalente del danno per la perdita di un occhio, secondo quelli che sono oggi i principi fondanti del diritto assicurativo” ha spiegato il rav. Tante le domande del pubblico, compresa una riflessione sull’acceso dibattito che in Israele vede protagonista la forte protesta degli studenti delle yeshivot haredim contro la decisione di arruolarli nell’esercito. “Una questione che in questo momento è la questione” ha sottolineato rav Di Segni.
Rossella Tercatin
(25 aprile 2014)