Qui Ferrara – Cento libri da riscoprire

SONY DSC“Se diciamo che tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri o se parliamo di una situazione kafkiana il nostro interlocutore sa di cosa stiamo parlando perché sono libri entrati nell’esperienza comune”. E su questa base che Piero Dorfles, critico letterario e divulgatore culturale, ha redatto il suo Cento libri che rendono più ricca la nostra vita (Garzanti), presentato ieri assieme al presidente della Fondazione Meis Riccardo Calimani e al direttore di Giuntina Shulim Vogelmann alla Festa del Libro ebraico di Ferrara. Un libro nato dalla richieste del pubblico “che spesso – ha affermato Dorfles – mi domanda quali siano i libri di cui non possiamo fare a meno”. I cento libri – più uno, perché alla Metamorfosi di Kafka spetta una posizione particolare – sono un invito a riscoprire grandi titoli della letteratura, a leggere, ad acquisire quell’indispensabile capacità di astrazione e analisi che proprio la lettura permette di raggiungere. Nei cento, come ha spiegato a Pagine Ebraiche, ben sedici libri fanno riferimento all’ebraismo e alla cultura ebraica. “Una tradizione attraverso cui si acquista una particolare capacità di fare i conti con se stessi, di andare al di là delle questioni superficiali e si guarda con spirito critico e ironico il mondo”.

Italiani, lettori da ripescare

“Un popolo è la lingua che parla”, afferma Ernesto Ferrero, direttore del Salone del Libro di Torino. Un popolo, aggiungiamo, è anche la lingua che legge, e se legge poco i risultati, sul piano culturale, non potranno essere eccelsi. Non è snobismo, ma un dato di fatto. “In Italia i lettori forti (per il nostro paese si fa riferimento a chi legge più di 10- 12 libri l’anno, in Francia 20) sono solo il 6 per cento – sottolinea Piero Dorfles giornalista e critico letterario italiano, intervistato da Pagine Ebraiche – anche se potremmo dire che questo 6 per cento è più forte paragonato alla stessa categoria presente negli altri paesi. Comunque da noi si tratta di un élite”. E su questa minima percentuale, secondo i dati Istat, si regge l’80% del mercato editoriale. Dati che raccontano di un’Italia in cui la cultura zoppica e di ciò sembra non darsi troppa pena. E viene da chiedersi dove nasca questa spaccatura, questo solco tanto profondo da creare una piccola cerchia di élite contrapposta al resto della popolazione, senza praticamente una fascia intermedia a limare le differenze. “Nell’epoca post bellica, il boom economico ha spinto in avanti le famiglie del nostro paese, portando in poco tempo nelle case italiane il benessere – spiega Dorfles, volto noto dei programmi culturali della Rai, presente alla Festa del libro ebraico – Un salto brusco dall’arretratezza del fascismo che gli italiani non hanno fatto in tempo ad assimilare”. A questa accelerazione sul piano economico, per Dorfles, non ha coinciso uno sviluppo culturale di pari livello, rimasto ampiamente indietro. Si tratta dunque, almeno in parte, di ricongiungere queste due anime anche se la visione dello scrittore, autore del libro Il Ritorno del Dinosauro, una difesa della cultura (Garzanti), non è così negativa. Certo qualcosa deve cambiare e sul banco degli imputati Dorfles pone il mondo dell’informazione pubblica. “C’è uno strumento che si chiama Radiotelevisione italiana che dovrebbe produrre conoscenza e onestamente non lo fa. Io in Rai ci sono da anni e ho provato a cambiare qualcosa, usando quello che credo sia ancora il mezzo più potente per arrivare agli italiani, per il momento ancora più della rete. Ma sono rimasto isolato o comunque poco sostenuto”. Quale cultura può trasmettere un programma a premi in cui unica cosa che si deve fare è aprire un pacco? È la domanda polemica di Dorfles. Eppure qualche terreno comune c’è perché altrimenti non avrebbe sentito l’esigenza di scrivere un libro che espone i “cento titoli che secondo me sono stati introiettati dalla nostra società”. Cento libri che rendono più ricca la nostra vita (Garzanti) è il titolo del libro in cui Dorfles, appunto, richiama quelle che a suo dire sono le opere che in Italia sono entrate in maniera talmente forte da essere state codificate all’interno del linguaggio quotidiano. “Penso ad esempio all’Uomo senza qualità di Robert Musil. È citato spesso nei dibattiti, anche se non so quanti l’abbiano letto realmente. Così come la Metamorfosi di Franz Kafka. Sono libri che fanno parte dell’immaginario collettivo”. Collettività che però rimane indebolita da questa assenza di fondamenta solide dettate dalla conoscenza e dallo studio. E qui sorge un altro problema contemporaneo. “È evidente che ci troviamo davanti all’eclissi dell’intellettuale, dei maestri, di chi sa”. Modelli che sono entrati in crisi per loro responsabilità ma anche per una progressiva tendenza a non riconoscere l’autorevolezza dell’altro. “In questo la rete ha aiutato tantissimo, spingendo a eludere l’autorevolezza e dando così a tutti il potere di esprimersi senza limiti su tutto”. Per Dorfles il web non è il cattivo da combattere perché ha facilitato enormemente la reperibilità delle informazioni ma non si adatta a essere strumento di conoscenza. “Prenda Wikipedia, consultato da tutti e senz’altro utile, ma dov’è l’autorevolezza di un sito in cui le definizioni sono anonime. In cui non ci si prende neanche la responsabilità di mettere il proprio nome su quanto si scrive”. Tornando ai cento libri, spicca la presenza di un 20% circa di scrittori ebrei in questo elenco che arricchisce la vita. “È curiosa una presenza così significativa a fronte di numeri molto piccoli della minoranza ebraica. Credo che a favorirlo, oltre alla dimestichezza con il libro, sia una sensibilità particolarmente raffinata nei confronti di ciò che accade nel mondo e una cultura del dubbio che permette una capacità di analisi più profonda. Un’abilità nel percepire i disagi della collettività, le paure, le ansie”. E poi cita Joseph Roth, “che raccontò la dissoluzione dell’impero austroungarico con termini quasi premonitori se si guarda a quanto accade in Ucraina”.

Pagine Ebraiche, maggio 2014

(30 aprile 2014)