Calcio – L’anatema di Guttmann
C’è un fantasma che popola ancora le notti insonni dei tifosi del Benfica. Quello di Bela Guttmann, l’ex allenatore dei tempi d’oro di Eusebio che, al momento di lasciare la carica, avrebbe lanciato una sorta di maledizione: nessuna coppa europea nei successivi 100 anni di vita del club. Un presagio che, con la sconfitta ai rigori della scorsa settimana contro il Siviglia, ha inanellato l’ottava debacle consecutiva per la squadra lusitana dal momento del suo addio. Nato in Ungheria, sopravvissuto alla Shoah, trasferitosi in Portogallo per aprire un ciclo di vittorie senza eguali, Guttmann è ancora oggi oggetto di studi e approfondimenti. A restituirci un quadro che dagli aspetti più prettamente tattici sconfina nel mistero e nei tanti interrogativi irrisolti è Victor Hasbani, fondatore e anima del sito di informazione sportiva Te la do io l’America. “Filosofia di gioco offensiva, faceva del possesso palla, della verticalizzazione a centrocampo e del dialogo stretto al limite dell’area le sue convinzioni di gioco all’interno di quello che non era mai un integralismo tattico – scrive Hasbani – ma un sistema che permetteva ai suoi fenomeni di esprimersi al meglio non togliendoli la fantasia”. Da quella impostazione sarebbero scaturiti successi indimenticabili, in primis le Coppe Campioni conquistate nel biennio 1961-62. L’apice del successo ma anche l’inizio della maledizione: frizioni con la dirigenza, voglia di cambiare aria, scrupoli di coscienza nel guidare la squadra del feroce dittatore Salazar, portarono all’addio e al pronunciamento del celebre anatema. Inutile, ad oggi, qualsiasi contromossa. A niente è infatti servito far costruire una sua statua fuori dal Da Luz di Lisbona in un ventoso giorno dello scorso inverno. Ennesima finale, ennesima beffa. E così il vecchio santone asburgico, scrive Hasbani, da qualche parte nell’aldilà si starà senz’altro facendo una risata.
(19 maggio 2014)