vessilli…
“Il Signore parlò a Moshè e Aron dicendo così: “Ognuno presso il proprio vessillo ed alle insegne delle loro case paterne si accampino i figli di Israele” (Numeri 2, 1).
Questo versetto, estrapolato dalla parashah Bemidbar che leggeremo questo Shabbat, mi ha particolarmente inquietato in questi giorni e in questi tempi. Se per i figli di Israele l’accamparsi intorno al vessillo, דגל, familiare significava solo l’espressione di una organizzazione necessaria al viaggio e tecnica, per la nostra generazione l’accamparsi, se non l’arroccarsi intorno ai vessilli sta diventando un gioco pericoloso. A un mondo che, gioco forza, non ha più confini, noi rispondiamo con localismi, con posizioni e riflessioni sempre più limitanti, con identità sempre più anguste, con vessilli numericamente sempre più piccoli, ristretti, soffocanti. Una sorta di “קצר רוח di respiro corto e deprimente come quello degli ebrei schiavi in Esodo 6, 9 che non seppero guardare oltre i confini della paglia e del fango d’Egitto, sembra invadere molto mondo ebraico, israeliano e diasporico, rendendo ogni confronto tra idee una contrapposizione di vessilli. Basta leggere svogliatamente gli scambi sui social network ebraici della nostra Italia, così come seguire i commenti per l’uscita di un nuovo testo o per le nuove nomine della Assemblea Rabbinica Italiana per rendersi conto che il vessillo, la bandiera, lo stendardo è diventata l’ossessione della nostra generazione. In ogni campo, dal giornalismo alla kasherut, dalle conversioni al Talmud Torah: tutto sembra scorrere in maniera costante e contraria rispetto a una progettualità che tenga conto del nostro popolo, del nostro mondo, della nostra gente e non della porzione del mio popolo che a me interessa, del mio mondo, della mia gente. E’ vero, il popolo ebraico è uscito dall’Egitto organizzato secondo le case paterne e accampandosi secondo i vessilli tribali, ma quando ha ricevuto la Torah, quando si è predisposto ad attuare il nostro più importante progetto collettivo che è appunto la Torah è scritto che “Israele si accampò di fronte al monte” (Esodo 19,2). Con il verbo al singolare. Insegna Rashi come un solo uomo con un solo cuore. Perché pluralismo non vuol dire esprimere piccoli, piccoli interessi e difese di bandiere a oltranza. Pluralismo significa pensare al plurale. Agire per il plurale. Essere responsabili del plurale. Senza perdere mai me stesso, ma senza mettere me stesso negli spazi plurali dedicati al nostro popolo.
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
(23 maggio 2014)