Qui Bruxelles – In piazza, il giorno dopo

manifestazione bruxellesTante candele accese, qualche bandiera sulle spalle, mazzi di fiori da depositare davanti alla soglia. Tutti in piedi immobili, qualcuno cantando sottovoce, qualcuno senza staccare gli occhi dal pavimento. La cerimonia di ieri sera a Bruxelles di fronte al museo ebraico bersaglio dell’attentato terroristico di questo sabato, per omaggiare le quattro vittime, è stata breve ma intensa. Pochi discorsi delle autorità – e in ogni caso erano troppo lontani e troppo privi di microfono per poterli sentire -, tanti giovani presenti. Di cui numerosi coloravano la moltitudine con le camicie blu dell’Hashomer Hatzair e i grandi striscioni dell’ UEJB, l’unione di giovani belga. Un coro ha cantato il repertorio di canzoni ebraiche più commoventi, un rabbino ha recitato un kaddish pieno di significato, il pubblico si è espresso semplicemente con un improvviso ritmico battito di mani spontaneo e scrosciante. Una folla calda, ma ordinata e silenziosa, considerato quanto fosse vasta. Probabilmente è che sono tutti sotto choc. Non c’è altro modo di descrivere l’atmosfera del giorno dopo. Chi è qua è travolto e spaesato, chi non è qua è preoccupato. Da due giorni non faccio altro che ripetere che sto bene. E sto bene, davvero. Ovviamente sono turbata, ma sono al sicuro e per la prima volta ne comprendo veramente il valore. Però è strano. È strano non essere in ufficio a lavorare perché potrebbe essere pericoloso. È strano pensare che il ragazzo che ho conosciuto solo settimana scorsa a una cena di shabbat che francamente non mi è nemmeno piaciuta un granché è una delle vittime. È strano considerare che a camminare in quella strada del centro ci potevo essere io, o Giuditta, Nathan, Jane , Alice, Tom, Ben o qualunque altra delle persone che per me sono così legate a questa città nuova. È strano e fa pure un po’ arrabbiare. Perché oltretutto rifletto spesso su quanto si parli tra gli ebrei di antisemitismo, e degli ebrei relativamente all’antisemitismo. Scrivo comunicati e leggo sondaggi, e sembra tutto una nuvola di parole. Ma poi ecco, capita un episodio come questo e capita letteralmente dietro l’angolo, ed d’un tratto è tutto vero. E sebbene in modo così leggero e laterale, mi coinvolge personalmente. Sinceramente, mi domando a giorni alterni se quello che faccio avrà davvero un impatto o è solo una ridicola gocciolina in un oceano, ma oggi mi sento davvero contenta di lavorare in un’organizzazione ebraica di giovani e di avere una voce su un giornale. Un po’ perché è un giorno di quelli buoni in cui mi sembra di poter davvero cambiare il mondo, ma soprattutto perché mi piace l’idea che nonostante tutto si continui a organizzare seminari seriosi e vacanze meno seriose e a scrivere rubriche di stupidaggini. Anche il giorno dopo.

Francesca Matalon

(26 maggio 2014)