numeri…

Il libro di Bemidbàr, che abbiamo iniziato Shabbat scorso, inizia con il comandamento del censimento. E’ noto tuttavia che, quando non è l’Eterno a prescrivercelo, a noi è proibito contarci. Anche laddove abbiamo necessità di sapere se abbiamo raggiunto il quorum necessario per svolgere una preghiera pubblica possiamo dedurlo soltanto attraverso alcune formule formate da 10 parole. Contarci potrebbe indurci a comportamenti di sopravvalutazione delle nostre capacità e farci scivolare in atteggiamenti trionfalistici e autoreferenziali. Perfino il re David viene punito quando di sua iniziativa censisce il popolo. Non a caso l’espressione con la quale l’Eterno comanda a Moshè il censimento è: “quando alzerai la testa dei figli di Israele….”. Il censimento va fatto alzando la testa. Secondo Ramban questo significa accordare “onore e grandezza a ogni individuo….”. A noi che sappiamo bene cosa significa essere considerati soltanto un numero, e che al nostro interno continuiamo a vivere nell’ossessione di sapere quanti iscritti siamo, la Torah ci ricorda che il censimento non deve mai costituire soltanto un’azione politica e amministrativa, ma contarsi, deve rappresentare, piuttosto, un’occasione per valorizzare le “teste” di ogni componente della comunità .

Roberto Della Rocca, rabbino

(27 maggio 2014)