Festival Economia di Trento – Renzi, la cultura per il rilancio
“Dobbiamo avere il coraggio di dire che o la politica torna a fare il suo mestiere o la discussione economica è priva di valore”. La politica deve riprendere casa in Europa, ha spiegato il primo ministro Matteo Renzi, protagonista oggi della terza giornata del Festival Economia di Trento. La presenza del premier è la testimonianza del grande valore della rassegna economica trentina, giunta alla nona edizione che vede, per il secondo anno consecutivo, la partecipazione di Pagine Ebraiche. Il giornale dell’ebraismo italiano è infatti presente al Festival con la distribuzione del numero di giugno del mensile, che contiene il dossier Mercati e valori, pagine dedicate alle questioni economiche e sociali, interpretate attraverso una prospettiva ebraica. Uno spazio per dare voce ad alcuni dei protagonisti del Festival come Alan Krueger, fino allo scorso anno consigliere economico del presidente americano Barack Obama, che ha raccontato al pubblico di Trento il percorso di rilancio dell’economia statunitense e il suo rapporto con Obama. Sull’impegno contro la disoccupazione, una delle preoccupazioni che tocca l’economia globale, Krueger ha sottolineato come negli Stati Uniti ci sia stata una svolta positiva. “La disoccupazione USA è scesa dal 10 al 6,3% – ha affermato l’economista, docente a Princeton – ma resta un problema serio di disoccupazione di lungo periodo”. Sul fronte italiano, una risposta alla critica situazione occupazionale è arrivata oggi dal premier Matteo Renzi – intervistato dal giornalista Enrico Mentana e, in apertura, dal curatore scientifico del Festival Tito Boeri – per cui la cultura può essere uno dei motori per lasciarsi alle spalle la crisi. “La cultura italiana ha una potenzialità enorme non sfruttata per lo sviluppo dell’Italia”, ha affermato il primo ministro sottolineando come sia “ridicolo che non ci sia una gestione del settore che possa creare valore economico”. “La cultura deve creare posti di lavoro” ha concluso Renzi.
I risultati europei sono un’altro dei temi caldi di queste giornate trentine, con le classi dirigenti sotto osservazione così come i nuovi assetti emersi negli equilibri politici del Vecchio Continente. Preoccupante l’ascesa dell’estremismo di destra in Europa che fomenta le divisioni sociali e indebolisce le istituzioni, colpendo in particolare l’Europa. Un’Europa ferita la scorsa settimana nel suo luogo simbolo, Bruxelles, con l’attentato al Museo Ebraico della città. “Un episodio molto preoccupante”, ha dichiarato l’ex presidente del parlamento europeo Josep Borrell Fontelles, che ha dibattuto con il politologi Marc Lazar – intervistato da Pagine Ebraiche – e Sergio Fabbrini. A moderare l’incontro Eric Jozsef.
Daniel Reichel
(1 giugno 2014)
Marc Lazar e la sfida dell’Europa
La direzione dell’Europa dipenderà dalle risposte che sapranno dare le classi dirigenti, le élite culturali, i responsabili economici. “Spetta a loro adottare comportamenti esemplari, promulgare riforme di vasta portata nei rispettivi Paesi e in Europa, elaborare un progetto, ricostruire una narrativa mobilitante. Nella speranza che non sia troppo tardi”, scriveva sul Sole 24 ore Marc Lazar, noto politologo e storico francese nonché docente all’Università Luiss di Roma. Un auspicio ribadito da Lazar a Pagine Ebraiche pochi giorni prima dei tragici fatti di sangue di Bruxelles. Ma dopo l’attentato al Museo Ebraico della capitale belga, quello sperare che non sia troppo tardi assume tonalità fortemente malinconiche in un’Europa colpita al cuore dalla violenza antisemita. Il confine – chiunque sia il responsabile – è stato ampiamente varcato e le fondamenta democratiche del Vecchio Continente traballano di fronte all’esplosione di populismi, retoriche xenofobe e demagogie antieuropeiste. Con l’aiuto di Lazar, presente a al Festival Economia di Trento con una riflessione sulla classe dirigente europea, Pagine Ebraiche ha cercato di comprendere perché l’Europa non si sia ancora vaccinata, nonostante il buio della Shoah e del Novecento, al fascino del populismo e alle sue estremizzazioni. Per il politologo, direttore del Centre d’histoire de Sciences Po, sono quattro le principali ragioni a cui far ricondurre lo stato attuale del nostro continente: “In primo luogo, ovviamente la crisi economica e sociale che spiega, seppur in modo parziale, il malessere diffuso e che alimenta la critica populista”. Vi sono però delle eccezioni, sottolinea Lazar portando ad esempio paesi come Austria o Norvegia, dove il fenomeno del populismo è riuscito comunque ad attecchire seppur la situazione economica sia positiva. “Altro tema è l’evidente difficoltà delle istituzioni democratiche nel rispondere alle necessità interne dei propri paesi. Ad eccezione della Germania, molti cittadini europei coltivano verso le istituzioni nazionali diffidenza quando non aperto malessere”. E se vacillano le democrazie interne, l’Europa, intesa come Unione Europea, non se la passa meglio. “Lo stesso, e probabilmente ancor più accentuato, malessere è rivolto a Bruxelles, con l’UE considerata un ente lontano dalle reali necessità della gente. L’Unione non è riuscita a conquistare la considerazione delle persone ed è mancato un serio impegno pedagogico perché si arrivasse a questa consapevolezza positiva”. A chiudere il cerchio, l’inquietudine per il futuro condivisa da diverse generazioni. “La globalizzazione ha portato molti interrogativi – riflette Lazar – in particolare sulla questione dell’integrazione culturale e le due risposte a oggi adottate sul tema, quella olandese così come quella francese, hanno fallito”. In questa frammentazione a ricompattare, con analogie e differenze, parte dell’elettorato ci hanno pensato i movimenti populisti. In particolare Lazar ha analizzato due realtà spesso accostate sui quotidiani nostrani: il Movimento 5 Stelle guidato da Beppe Grillo e il Front National di Marine Le Pen. “Entrambe le anime politiche condividono una forte retorica antielitaria e antieuropeista seppur con argomenti diversi. Il linguaggio utilizzato è simile, con l’abbandono del politichese in favore del vocabolario della gente comune”. Diverso però è il bacino elettorale, con un livello di istruzione decisamente più alto tra i sostenitori di Grillo rispetto a quelli del Front National, sottolinea Lazar. Manca inoltre nel fenomeno italiano una retorica fondata sul patriottismo, sulla difesa dello Stato- nazione e contro gli immigrati. Diversa anche, almeno in apparenza, la struttura: “Il partito francese si ispira, in piccolo, ai partiti di massa centralizzati del mondo comunista, con una struttura fortemente organizzata e rigida. Nel Front National tutto il potere è concentrato nelle mani di Marine (nel Movimento 5 Stelle, almeno in teoria, il principio cardine è la democrazia diretta), tanto che la stessa campagna elettorale si fonda sul suo volto. Lei ha promosso un cambio generazionale all’interno del partito, marginalizzando i grandi vecchi dell’estrema destra francese e inserendo nuovi e fidati giovani”. Quanto è diverso il volto di Le Pen Jr da quello del padre, noto antisemita? “La retorica antiebraica, almeno in superficie è sparita con Marine. La Le Pen invece astutamente si presenta come paladina dei diritti delle donne contro l’integralismo dei musulmani, proponendo il Front National come unica difesa di fronte a quello che definisce il medioevo islamico”. Scontri culturali, divisioni profonde che non fanno che acuire il divario tra le diverse parti della società, creando fronti contrapposti e molta disillusione. “Di fronte a tutto ciò è necessaria una risposta istituzionale che riesca a rinnovare la traballante democrazia”, spiega Lazar. Una risposta che freni le fratture, che curi quello che a Bruxelles l’arma antisemita ha gravemente ferito: il cuore dell’Europa.
Dossier Mercati e valori, Pagine Ebraiche, giugno 2014