Il dilemma degli ebrei laici
Gli ebrei “laici” si trovano oggi di fronte a tre sfide di grande portata: come garantire la continuità della vita ebraica senza il forte traino delle mizvoth, o comunque facendo meno affidamento sui precetti religiosi? Su che basi definire il loro canone culturale se non si considera sufficiente la tradizione biblica? Come porsi di fronte al nuovo antisemitismo? A un livello profondo, il rapporto con Israele non costituisce, secondo me, una grande questione culturale. Si litiga, ci si divide, ma in fondo ognuno di noi è preoccupato, a modo suo, per il destino di Israele, ecerca di supportarlo come può.
Mi concentro invece sul nuovo antisemitismo, che mi pare un problema molto urgente. Gli ebrei “aperturisti” – a cui tutto sommato mi ascriverei – rifiutano giustamente la prospettiva del “tutti ci vogliono male”, e rivendicano la loro scelta di vivere nella Diaspora, di volerci rimanere e anche di volerci stare bene. Non progettano di trasferirsi in Israele e mantengono relazioni con tantissimi non ebrei di cui si fidano e che considerano amici e sodali sinceri. Difendono i diritti degli immigrati e promuovono come possono una società sempre più multiculturale. Tutto giusto. Ma di fronte a Mehdi Nemmouche, a Mohammed Merah, e al Kamal descritto oggi da Repubblica, che cosa abbiamo da dire? Come conciliare la tutela dei diritti democratici (da estendere) con la constatazione che questi jihadisti si muovono liberamente per l’Europa e prima o poi se la prendono con gli ebrei?
Sarebbe giusto riflettere seriamente su questo tema, senza allarmismi ma anche senza solidarismi stolti, senza steccati e pregiudizi. La settimana scorsa – intervenendo alla presentazione del libro di Bruno Segre – il mio amico Bruno Sed faceva notare alcune coincidenze impressionanti: Theodor Herzl partì da Budapest, andò a Parigi per seguire il processo Dreyfus, e in quell’ambiente antisemita maturò il suo convincimento sionista. Più o meno in contemporanea Vladimir Jabotinskij lasciò Odessa, dove i sovietici perseguitavano gli ebrei e cancellavano una grande esperienza multietnica, e si convinse dell’esigenza di uno stato ebraico protetto dai nemici esterni. Budapest, Parigi, Odessa, cento anni fa. Budapest, Parigi, Odessa. Ricorda qualcosa?
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(3 giugno 2014)