Dopo il viaggio di Bergoglio in Israele – Dialogo, un valore nonostante i problemi
Sempre più spesso, negli ultimi tempi, siamo stati costretti a intervenire per tentare di contrastare la tendenza alla minimizzazione e alla banalizzazione, a volte per malafede, a volte per ignoranza, di fatti storici negativi e tragici che hanno riguardato direttamente l’ebraismo e gli ebrei, ma che non possono non coinvolgere l’intera umanità. Lo stesso impegno dovrebbe essere dedicato a contrastare la tendenza a minimizzare o banalizzare, in questo caso spesso per il moderno fenomeno di accorciamento della Memoria, fatti o eventi positivi. Prendiamo come esempio i rapporti tra ebrei e cattolici o tra lo Stato di Israele e il Vaticano. Anche all’indomani della missione di papa Bergoglio in Israele è evidente che le incomprensioni restano in agguato. Il suo gesto di pregare ai piedi della barriera di difesa che protegge alcuni tratti di confine con i Territori dell’Autorità palestinese, che si è dimostrata indispensabile per prevenire molte sanguinose incursioni terroristiche, non potrà essere compreso fino a quando la natura dello Stato ebraico non avrà ottenuto un pieno riconoscimento da parte dei popoli vicini e non cesseranno quelle minacce che gravano sulla popolazione civile e che hanno reso tale barriera necessaria. Un’azione comune sarebbe auspicabile per isolare e contrastare le organizzazioni terroristiche e violente mosse da odio antiebraico e spesso aggressive nei confronti dei cristiani che abitano nella regione. Tuttavia sarebbe un grave errore non vedere come negli ultimi 50 anni i progressi nelle relazioni ebraico-cristiane siano stati enormi; il pontificato di Giovanni XXIII ha segnato una svolta che non è esagerato definire epocale e che è stata poi proseguita dai suoi successori. Il primo gesto vistoso, simbolicamente ed emotivamente coinvolgente, fu la sosta sul Lungotevere de’ Cenci, davanti al Tempio Maggiore di Roma, che papa Roncalli volle effettuare quando si accorse che il suo passaggio coincideva con l’uscita dal Tempio di una moltitudine di bambini; a loro volle lanciare cenni di saluto e di benedizione. Successivamente egli si adoperò affinché, dal Concilio Vaticano II, fosse emanata la dichiarazione Nostra Aetate, una pietra miliare che segnò, anche sul piano teologico, una decisa svolta positiva nelle relazioni tra la Chiesa cattolica e gli ebrei. Lo stesso percorso fu proseguito da Giovanni Paolo II, il papa che per primo decise di effettuare una visita nella grande sinagoga di Roma; al suo arrivo salutò con un abbraccio il rabbino capo Elio Toaff e poi pronunciò un discorso di apertura e di amicizia nel quale definì gli ebrei “fratelli maggiori”. Anche papa Wojtyla volle compiere altri gesti significativi, tra i quali spiccano: l’allacciamento delle relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele (30 dicembre 1993) e il successivo viaggio del 20-26 marzo del 2000 durante il quale si soffermò in preghiera di fronte al Kotel, il Muro occidentale del Tempio di Gerusalemme, e come gli ebrei volle lasciare un messaggio scritto deposto tra le pietre. Anche il papa Benedetto XVI volle rendere omaggio all’ebraismo e agli ebrei visitando sia la sinagoga di Colonia che quella di Roma, recandosi ad Auschwitz dove il 28 maggio del 2006 pronunciò un discorso significativo (“Prendere la parola in questo luogo di orrore e di crimini contro Dio e l’uomo che non ha confronti nella storia – disse – è quasi impossibile”) e infine effettuando un importante viaggio in Israele. A conclusione della recente missione in Israele di papa Bergoglio ritengo che il percorso di avvicinamento, di dialogo costruttivo, di comprensione reciproca tra ebrei e cattolici, possa proseguire nel tempo e penso che sia nostro dovere non minimizzare, ma valorizzare tutto ciò che accade e accadrà, purché sia sempre improntato alla pari dignità e al reciproco rispetto. Non dobbiamo permettere che la svolta epocale ed eccezionale, se paragonata alle problematiche relazioni e ai conflitti dei secoli precedenti, iniziata 50 anni fa, perda il suo carattere e il suo valore. Pur nella consapevolezza che il percorso da compiere è ancora lungo e complesso, vorrei ricordare che papa Bergoglio ha già pronunciato e scritto parole molto chiare per esprimere le sue intenzioni e i suoi sentimenti verso gli ebrei. Tutto ciò è stato esplicitato nella esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” pubblicata lo scorso novembre e che, finora, non ha avuto il risalto che merita né in ambito cattolico né in ambito ebraico.
Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Pagine Ebraiche, giugno 2014
(8 giugno 2014)