Israele: studenti rapiti, forze di sicurezza in azione
Proseguono senza tregua le operazioni di ricerca dei tre studenti di yeshivah rapiti nel Gush Etzion: nella notte blitz militare ad Hebron con molti arresti. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu intanto lancia precise accuse: “I responsabili di questo atto terroristico appartengono a Hamas, la stessa Hamas con cui Abu Mazen ha creato un governo di unità nazionale. Vi saranno serie ripercussioni”. A supportare l’ipotesi Hamas anche l’intervento del segretario di Stato statunitense John Kerry. Infuria nel frattempo la polemica nei confronti delle forze di polizia. “Uno dei ragazzi, pochi attimi dopo la cattura nelle notte di giovedì – scrive Maurizio Molinari sulla Stampa – chiamò infatti il numero di emergenza dicendo ‘ci hanno rapito’, ma la polizia tardò a informare l’esercito, perdendo tempo prezioso che avrebbe potuto consentire di intercettare l’auto”. Sul Giornale, tra le molte testate che si occupano di questa vicenda, Fiamma Nirenstein descrive la compostezza e la dignità di una delle madri dei rapiti: “Rachel cerca di nascondere con un po’ di make up i segni di pianto sulla faccia, e parla per la prima volta ai giornalisti piantando in faccia a tutti un sorriso invincibile, come sanno fare le persone che credono in una giustizia superiore”.
Mentre in Israele è caccia ai terroristi, a poche centinaia di chilometri di distanza – in Iraq – scene di orrore squarciante entrano nella quotidianità del conflitto civile: le immagini di alcune esecuzioni di massa da parte dei militanti jihadisti fanno infatti in queste ore il giro del mondo attraverso la rete e i social network. Scrive Marco Ansaldo, inviato di Repubblica: “Spietati sì, ma tutt’altro che ingenui nell’uso delle nuove tecnologie. I fanatici della nuova Al Qaeda hanno subito comunicato via Twitter di ‘aver giustiziato 1.700 soldati iracheni’. C’è chi mette in dubbio il numero delle vittime. Se fosse vero, si tratterebbe della peggiore atrocità di massa perpetrata sia in Siria, sia in Iraq negli ultimi anni, superando anche gli attacchi con armi chimiche alla periferia di Damasco dello scorso anno, con 1.400 persone uccise”.
A Roma, prima dell’incontro con la Comunità di Sant’Egidio, Bergoglio è stato salutato da una delegazione della Comunità ebraica di Roma guidata dal suo presidente Riccardo Pacifici. Quest’ultimo ha chiesto al papa di unirsi alla preghiera per la liberazione dei tre giovani israeliani e, anche a nome del rabbino capo Riccardo DI Segni, lo ha invitato nel Tempio Maggiore della Capitale. “Un’occasione per riflettere sulle nostre responsabilità comuni come comunità di fede, da quasi duemila anni conviventi in città, e di lanciare un messaggio di amicizia e collaborazione costruttiva”, la motivazione dell’invito (Gian Guido Vecchi sul Corriere della sera). Sempre sulle pagine del Corriere, nel dorso romano, Paolo Conti riflette sul significato di questo nuovo momento di incontro. “Il dialogo e il confronto – scrive Conti – sono essenziali per affrontare le difficili sfide del futuro in una città sempre più complessa come Roma. Tornare alla stagione delle divisioni è impensabile. Ma sarà bene evitare inutili ritualità e badare immediatamente alla sostanza, a diradare eventuali ombre, a chiarire possibili incomprensioni. Su La Stampa, nella sezione Vatican Insider, insieme alle parole del presidente UCEI Renzo Gattegna che ha invitato i protagonisti dell’incontro di pace in Vaticano a “iniziative concrete” per il Medio Oriente, una foto del gruppo di ebrei romani ritrovatisi ieri in San Pietro per promuovere l’appello #BringBackOurBoys.
Adam Smulevich @asmulevichmoked
(16 giugno 2014)