J-Ciak – Dune, il film che non vedremo mai

dune - pavich“Ciò che serve a dare luce deve bruciare a lungo”. Sono queste parole di Viktor Frankl, lo psichiatra, filosofo e padre dell’analisi esistenziale, ad aprire The Dune di Frank Pavich, uno dei documentari più visti in queste settimane nelle sale statunitensi. La frase di Frankl – figlio di quella borghesia ebraica viennese colta e sofisticata, colpita ferocemente dal nazismo (Viktor sopravviverà a quattro campi di sterminio) – è il viatico perfetto per la storia narrata nel film. La storia di un film visionario e del suo regista mancato, Alejandro Jodorowsky, uno dei talenti più accesi ed eccentrici del nostro tempo, scrittore, fumettista, surrealista e psicomago, nato in Cile da una coppia di immigrati ebrei scappati dall’Ucraina.
La vicenda di Dune è narrata dalla viva voce dei protagonisti in novanta minuti di girato appassionanti come un thriller ed è di quelle che i nerd conoscono a menadito. A metà degli anni Settanta Jodorowsky decide di fare un film destinato a cambiare la mentalità della gente. “Volevo dare a chi allora prendeva l’Lsd le medesime allucinazioni ma senza la droga: non volevo che la gente prendesse quella roba”.
La scelta cade su Dune, tratto dal libro di Frank Herbert considerato una pietra miliare della science fiction. “Dune di Herbert è come Proust per la letteratura francese. E’ letteratura, grande letteratura”, dice Jodorowsky, che inizia dunque a immaginare come tradurla in immagini. Una sfida ambiziosa per cui trova un complice d’eccezione in Moebius, primo di una serie di collaboratori e amici straordinari che lo accompagneranno in quest’appassionante avventura.
Al tempo Jodorowsky ha 45 anni ed è reduce dal successo di El Topo e La montagna sacra, due film che grondano simboli e surrealismo: adorati dalla critica e dal pubblico. Con Dune non vuole semplicemente girare un altro film, mira ad aprire una nuova prospettiva, legata al sacro, alla spiritualità, agli orizzonti di senso, vuole parlare ai giovani. “Per me Dune era una sorta di profeta”, dice.
Gli eventi si sgranano rapidi e sembrano dargli ragione. Terminato insieme a Moebius uno storyboard composto da quasi tremila disegni – nel documentario meravigliosamente animati – Jodorowsky cerca i suoi “guerrieri”, i prodi che lo aiuteranno a trasformare il sogno in realtà, e li sceglie con attenzione estrema.
La selezione è impressionante e propone nomi poi divenuti mitici nel panorama della fantascienza: oltre a Moebius ci sono Giger, Chris Foss, Dan O’Bannon. Per la colonna sonora ecco i Pink Floyd e i Magma mentre tra gli attori figurano Salvador Dalì, attratto dalla prospettiva di divenire l’attore più pagato del mondo; Amanda Lear, sua musa artistica; Orson Welles, conquistato con la promessa di pranzi e cene francesi per tutta la lavorazione del film; l’attore di Andy Warhol Udo Kier e David Carradine, allora celebre per la serie Kung Fu. A impersonare il giovane Paul è invece chiamato uno dei figli del regista, Brontis Jodorowsky, allora adolescente, che il padre fa preparare per due anni da un maestro perché apra la sua mente e divenga capace di combattere con le mani, i piedi e la spada.
E’ Hollywood a mandare il sogno in frantumi. I produttori sono spaventati dai costi e soprattutto dalla presenza di Jodorowsky, figura ben poco in linea con gli standard degli studios. Il magnifico film che doveva cambiare la mentalità dei ragazzi di tutto il mondo finisce così per naufragare. Toccherà a David Lynch, una decina d’anni più tardi, trarre da Dune una pellicola prodotta da De Laurentis. (Non sarà facile andarlo a vedere, confessa nel documentario Jodorowsky, grande ammiratore di Lynch. Ma uscirà dalla proiezione con un gran sollievo: era proprio un brutto film, ride).
L’esperienza di Dune non va però perduta. Insieme a Moebius, Jodorowsky trae dallo voluminoso storybord una serie di fumetti di successo per poi collaborare con un altro disegnatore, Juan Gimenez, al ciclo dell’Incal e dei Metabaroni. E in campo cinematografico i semi gettati da quel film mai realizzato continuano a dare i loro frutti. Il gruppo nato con Dune collabora infatti ai maggiori successi del cinema sci-fi mentre tracce di Dune percorrono Guerre stellari, Flash Gordon, I predatori dell’Arca perduta, Terminator, Masters of the Universe fino al recente Prometheus di Ridley Scott.
Quanto a Jodorowsky, 84 anni portati in modo magnifico, la prende con felice filosofia. “Perché non si dovrebbero avere ambizioni? Bisogna avere le ambizioni più grandi che si può. Vuoi essere immortale? Combatti per diventarlo. Vuoi realizzare il film più fantastico? Provaci. Non ha importanza se fallisci. Dobbiamo provarci”.
E continuando a provarci, con l’amico produttore di Dune, Michel Seydoux, reincontrato in occasione del documentario, Alejandro Jodorowsky ha intanto girato un altro film, La danza della realtà, presentato un anno fa a Cannes insieme al The Dune di Pavich. E’ un’energia felice, creativa e creatrice, la sua, che brilla come la fiamma di luce di cui parla Frankl e ci rimanda al senso più profondo dell’esistenza. L’uomo? “E’ un essere che decide sempre ciò che è”, diceva lo psichiatra sopravvissuto al lager e divenuto uno degli esempi più alti della possibilità umana di resilienza. “Qual è lo scopo della vita? E’ crearsi un’anima”, sembra fargli eco Jodorowsky all’inizio del film.

Daniela Gross

(26 giugno 2014)