Il campo e la siepe
Giustamente ieri è stato ricordato che gli ebrei sono tifosi di calcio esattamente come tutti gli altri italiani. Per questo molti di loro si sono trovati venerdì scorso di fronte al problema di una partita dell’Italia a distanza ravvicinata dallo Shabbat. In realtà più di un’ora separava la fine della partita dall’inizio effettivo del sabato, ma il tramonto tardivo in questa stagione ha consolidato l’usanza di organizzare la tefillah pubblica con un largo anticipo che sarebbe impossibile nei mesi invernali. Dunque la partita non era in conflitto con una mitzvah vera e propria, ma forse si potrebbe dire con una siepe intorno alla mitzvah (anche se non so se sia corretto definirla così, perché suppongo che una siepe dovrebbe avere dimensioni standard e non allargarsi o restringersi in base alle stagioni). Mi risulta che il problema di come regolare i confini tra le siepe e il campo (di calcio) abbia dato luogo a qualche dubbio e qualche discussione: chiedere di spostare la tefillah pubblica? Disertarla? Arrivare in ritardo? O magari organizzare un minian di tifosi? In ogni caso (stendendo un velo pietoso sul risultato della partita) la vicenda mi è sembrata sintomatica dell’identità ebraica italiana: due appartenenze forti, quasi mai percepite come in conflitto tra loro e che in tutti i modi si cerca di far convivere pacificamente, a volte con qualche piccolo compromesso e qualche piccola sforbiciata a siepi che appaiono un po’ troppo rigogliose.
Anna Segre, insegnante
(27 giugno 2014)