#EyalGiladNaftali – Dolore immenso
L’immenso dolore di un popolo. La notizia, arrivata nella serata di ieri, del ritrovamento dei corpi di Naftali Fraenkel, (16 anni), Gilad Shaar, (16 anni), ed Eyal Yifrach (19 anni) è prima di tutto questo.
“Un giorno di lutto per chiunque creda nei valori della pace e dell’umanità” ha sottolineato il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, che con il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha accolto ieri sera la comunità in sinagoga, per una preghiera dedicata ai tre ragazzi, mentre i ristoranti del Portico d’Ottavia hanno scelto di abbassare le serrande e tanta gente si è radunata per strada, esprimendo tutta la ferita ma anche la rabbia di fronte a un crimine così enorme raggiungendo la sede romana dell’Autorità nazionale palestinese (Repubblica e Messaggero). Da Israele, il messaggio di sgomento del presidente della Comunità Riccardo Pacifici, che ha ricordato anche l’insegnamento che arriva dalle famiglie di Eyal, Gilad e Naftali. “Da questa tragica vicenda si trae una grande lezione, l’immensa dignità di tre madri d’Israele”.
Una ricostruzione della vicenda viene offerta da tutti i principali quotidiani (tra gli altri Maurizio Molinari sulla Stampa, Davide Frattini sul Corriere, Fiamma Nirenstein sul Giornale, Fabio Scuto su Repubblica).
Il Corriere della Sera offre inoltre un ritratto dei tre ragazzi e del loro mondo (“Musica e kippà” il titolo), lo studio nelle scuole religiose, ma anche passioni come il cinema, la cucina, le famiglie, per tutti e tre numerose, e poi invece un approfondimento sul gruppo a cui appartengono i due rapitori indicati dalle autorità israeliana: “Il clan di estremisti filo-Hamas che allenava una squadra di baby calciatori kamikaze – Missioni suicide con la maglia del Moschea Jihad”, una grande famiglia allargata i cui membri si sono macchiati negli anni dei più efferati crimini.
Da tutto il mondo si levano parole di forte condanna per l’accaduto (una panoramica è pubblicata su Avvenire). “Insensato atto di terrore” lo ha definito il presidente degli Stati Uniti Barack Obama (parole simili anche dal britannico David Cameron e dal francese Francois Hollande). “Una notizia terribile e drammatica”, “un crimine esecrabile e inaccettabile” le parole di Jorge Bergoglio riportate dal direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi. “Papa Francesco – ha sottolineato padre Lombardi – si unisce al dolore inenarrabile delle famiglie colpite da questa violenza omicida”. “Siamo vicini a Israele in questo momento di grave lutto – ha dichiarato il ministro degli Esteri italiano Federica Mogherini – Faccio appello a tutte le parti affinché mostrino che chi attenta alla sicurezza di Israele non potrà prevalere minando la via del dialogo, unica speranza di pace vera e duratura nella regione”.
Sono in molti infatti ora a chiedersi cosa accadrà e ad analizzare i possibili scenari. La Stampa propone un’intervista all’analista Daniel Pipes, ex consigliere di George Bush, che sottolinea come sia indispensabile che il presidente dell’Anp Abu Mazen ora si smarchi da Hamas, nonostante le pressioni della piazza. “Non abbiamo la conferma che il rapimento sia stato ordinato o condotto direttamente da Hamas. È possibile che lo abbiano deciso estremisti autonomi, intenzionati a far saltare così la nuova intesa fra questo movimento e l’Autorità palestinese. Abu Mazen quindi può reagire in due maniere diverse: può decidere di non abbandonare Hamas, proprio per non cedere al progetto dei responsabili degli omicidi, oppure può riconoscere il fatto che così si va comunque solo verso la violenza. È chiaro che la seconda strada è l’unica capace di dare una speranza”. Ancora sul quotidiano torinese, lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua interviene con amarezza. “Una tragedia nata dalla mancanza di un confine netto – La pace ora è più lontana” il titolo del suo editoriale.
“Hamas è responsabile e Hamas pagherà” le parole di Netanyahu riportate ancora da Maurizio Molinari, che ricostruisce dichiarazioni e opzioni sul tavolo delle autorità israeliane.
“Ma Tel Aviv pensa a una rappresaglia limitata” scrive sul Messaggero Eric Salerno (che in tutto l’articolo parla di governo di Tel Aviv e non di Gerusalemme).
“Siamo tutti genitori. Siamo tutti soldati in un paese in guerra. O lo saremo, lo siamo stati o potremo tornare a esserlo. Siamo tutti vittime potenziali Ecco perché l’identificazione è così forte. Non si tratta di qualcosa di astratto, di un esercizio intellettuale. Tutti abbiamo figli. Tutti abbiamo avuto un parente o un amico che ha perso qualcuno. Sappiamo che la prossima volta potrebbe toccare a noi” spiega, intervistato da Repubblica lo scrittore israeliano Etgar Keret nel raccontare i sentimenti che attraversano in queste ore il popolo d’Israele.
Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked
(1 luglio 2014)