#EyalGiladNaftali – Le parole degli Italkim: “Fermarsi e riflettere”

della pergola“Secondo la tradizione ebraica, di fronte a fatti del genere, sarebbe necessario aspettare il funerale o addirittura la settimana di shivah, di lutto, prima di parlare, anche se a quanto pare non è ciò che sta accadendo”. Sergio Della Pergola, demografo dell’Università ebraica di Gerusalemme, ed esponente della comunità degli italkim, gli italiani di Israele, racconta così il momento, a poche ore dalla notizia del ritrovamento dei corpi senza vita di Eyal, Gilad e Naftali. Due i piani con cui oggi è necessario confrontarsi, secondo quanto emerge dalle parole del professore, quello maggiormente legato a quanto successo fino a questo momento, e invece i possibili scenari che si apriranno nelle prossime ore e nei prossimi giorni.
“La cosa chiara è che dietro a una facciata di grande unità, esiste una discussione forte, e una questione politica rispetto alla quale non c’è consenso. Finora Bibi ha mantenuto un atteggiamento relativamente cauto rispetto ad altri personaggi più estremisti”.
“Il fatto che i ragazzi fossero stati uccisi poco dopo il rapimento era una verità che probabilmente le autorità israeliane avevano ben chiara, anche se fino a che non ci sono state prove certe, non lo hanno rivelato: alla fine di quella telefonata con la richiesta di aiuto che fu ignorata dalla polizia si sentivano degli spari, e anche nell’auto dei rapitori erano stati rinvenuti dei proiettili” sottolinea Della Pergola, che si mostra anche critico nei confronti nella dimensione pubblica che ha preso la manifestazione di solidarietà dopo la notizia del rapimento lo scorso 12 giugno. “Forse sarò in minoranza ma questo tipo di approccio secondo me è stato un boomerang, si è prestato alla manipolazione politica, non soltanto di sostegno verso il governo, ma anche da parte di personaggi che non c’entrano nulla per conquistare visibilità e titoli sui giornali”.
Ora il problema è strategico e politico ricorda il demografo. “Il governo israeliano ha assicurato di non volere un’escalation. Abu Mazen ha tenuto un atteggiamento ambiguo, ha condannato, ma non sempre con parole inequivocabili, ricordando che rimangono sul tappeto il suo accordo con Hamas e il fatto che l’Autorità palestinese continua a pagare gli stipendi dei terroristi”. La collaborazione dell’Anp dovrebbe essere fondamentale nel rintracciare i due colpevoli che probabilmente si nascondono ancora nell’area, mette poi in luce Della Pergola (“spetterebbe alla polizia palestinese arrestarli e consegnarli, anche se sarà difficile che accada. Però c’è da dire che nelle ricerche hanno offerto supporto: la macchina dei rapitori è stata ritrovata da loro”).
E poi naturalmente c’è il contesto geopolitico più ampio di grande instabilità e incertezza, che non può essere dimenticato: l’Iraq, la Siria, l’Iran, la Giordania. “E la politica americana è stata addirittura disastrosa, se pensiamo che oggi leggiamo che per Obama i migliori alleati per risolvere il nodo iracheno sarebbero proprio l’Iran e la Siria – sottolinea Della Pergola – In tutto questo è importante che Israele curi i propri interessi. Il problema è capire quali essi siano”.
La necessità di mantenere la calma. E’ l’elemento sui cui insiste Sergio Minerbi, diplomatico, già ambasciatore d’Israele presso la Comunità europea.
“Ciò che succederà dipenderà dalla prossima riunione del Consiglio dei ministri. Io mi auguro che non accada nulla di straordinario. Non abbiamo bisogno di dimostrare che siamo i più forti, lo sanno già. Invece abbiamo bisogno di un po’ di calma, anche per trovare gli assassini. Il problema che abbiamo è questo. C’è chi soffia sul fuoco e vorrebbe approfittarne per operazioni di vasta scala, che io spero non si realizzino, perché non credo convengano a Israele. La situazione di Gaza, i lanci di razzi da parte di gruppi più o meno legati ad Hamas, andranno risolti, ma bisogna farlo nei nostri termini e nei tempi scelti da noi, non quando fa comodo al nemico. Per questo è necessario introdurre il fattore calma”.
“Mi sembra tristemente e realisticamente che il rapimento di Eyal Yifrach, Naftali Fraenkel, e Gilad Shaar sia la loro memoria benedetta, faccia tragica parte di una terza intifada da tempo annunciata – il commento del politologo Vittorio Dan Segre – Nei due mesi precedenti il rapimento, la percentuale degli attacchi di tutti i tipi contro Israele era salita del 30 per cento anche se non sempre annunciata. Quello che sembra ora cambiato sono la tattica, la strategia e l’ambiente politico mediorientale”. L’obiettivo dei terroristi era, secondo Segre, quello di attirare consensi da parte dell’opinione pubblica e dei media internazionali e ottenere la liberazioni di compagni detenuti nelle carceri israeliane. “Trovarsi davanti a tre vittime impossibili da nascondere o tenere a lungo prigioniere ha reso necessario sopprimerli barbaramente subito. Le ricadute di questa criminale azione sono molte: rende conscia Israele di essere potenzialmente prigioniera di un attacco arabo locale, apre la porta a una fase di violenza con Hamas che dovrà essere centellinata in considerazione delle ricadute su Abu Mazen e sul mese del Ramadan, ricorda a tutti che è difficile spegnere il fuoco con il fuoco.
L’idea della pace irraggiungibile con i non Stati forse servirà a cambiare i cuori piuttosto che le menti – conclude – sviluppare l’altruismo contro l’egoismo e un nuovo scenario di azione e pensiero diverso da quello passato”.

Rossella Tercatin twitter @rtercatinmoked

(1 luglio 2014)