La religione della vita

sacks thumbLo scorso Shabbat abbiamo letto la parashah di Chukkat, con il suo comandamento quasi incomprensibile della giovenca rossa. Le sue ceneri, mescolate con “acqua viva” purificavano coloro che erano stati a contatto con la morte in modo che potessero entrare nel Mishkan, sede simbolica della gloria di Dio. Quasi incomprensibile, ma non del tutto.
La mitzvah della parah adumah, la giovenca rossa, era una protesta contro le religioni del mondo antico, che esaltavano la morte. La morte per gli egiziani era il regno degli spiriti e degli dei. Le piramidi erano luoghi dove, si credeva, lo spirito del faraone morto saliva al cielo e si univa agli immortali.
La cosa che colpisce di più nella Torah e nel Tanakh, in generale, è il quasi totale silenzio sulla vita dopo la morte. Noi vi crediamo profondamente. Noi crediamo nell’Olam Haba (il mondo a venire), nel Gan Eden (il paradiso), e nella techiyat hametim (la risurrezione dei morti). Eppure il Tanakh parla di queste cose solo con grande parsimonia e tramite allusioni. Perché?
Perché una attenzione troppo grande verso il cielo è capace di giustificare qualsiasi tipo di male sulla terra. C’è stato un tempo in cui gli ebrei venivano mandati al rogo per salvare – così sostenevano i loro assassini – le loro anime immortali. Ogni ingiustizia sulla terra, ogni atto di violenza, anche gli attentati suicidi, teoreticamente può essere difeso sostenendo che la vera giustizia è riservata alla vita dopo la morte.
L’ebraismo vi si oppone con ogni frammento della sua anima, con ogni fibra della sua fede. La vita è sacra. La morte contamina. Dio è il Dio della vita che si incontra solo consacrando la vita. Anche al re Davide è stato detto da Dio, che non gli sarebbe stato permesso di costruire il Tempio perché “dam larov shafachta” (hai sparso molto sangue).
L’ebraismo è una religione di vita.
La logica del principio della Torah è che coloro che hanno avuto anche il minimo contatto con la morte hanno bisogno di purificazione prima di poter entrare nello spazio sacro. La parah adumah, il rito della giovenca rossa, era il modo più drammatico per far passare questo messaggio. Diceva, in effetti, che tutto ciò che vive – anche una giovenca che non ha mai portato il giogo, anche rossa, il colore del sangue, che è il simbolo della vita – un giorno potrebbe trasformarsi in cenere, ma che la cenere deve essere dissolta nelle acque di vita. Dio vive nella vita. Dio non deve mai essere associato alla morte.
Eyal, Gilad e Naftali sono stati uccisi da persone che credevano nella morte.
Troppo spesso in passato gli ebrei sono stati vittime di persone che praticavano l’odio in nome di un Dio di amore, crudeltà in nome del Dio della compassione, e omicidio nel nome del Dio della vita. È scioccante che questa cosa continui ancora oggi.
Mai c’è stato un contrasto più duro di quello che vede da un lato questi giovani uomini che hanno dedicato la loro vita allo studio e alla pace, e dall’altro la rivelazione che altri giovani, anche provenienti dall’Europa, si sono radicalizzati nella violenza nel nome di Dio e stanno ora commettendo omicidi nel suo nome.
Quella è la differenza tra una cultura della vita e una cultura della morte, e questa è diventata la battaglia del nostro tempo, non solo in Israele, ma in Siria, in Iraq, in Nigeria e altrove. Intere società sono stati fatte a brandelli da persone che praticano la violenza in nome di Dio.
Non dobbiamo mai dimenticare una semplice verità: coloro che iniziano con la pratica della violenza contro i propri nemici finiscono commettendone contro i propri compagni di fede. Il verdetto della storia è che le culture che adorano la morte, muoiono, mentre quelli che santificano la vita, vivono.
Ecco perché l’ebraismo sopravvive, mentre i grandi imperi che hanno cercato la sua distruzione sono stati distrutti.
Le nostre lacrime vanno alle famiglie di Eyal, Gilad e Naftali. Siamo con loro nel dolore. Non dimenticheremo mai le giovani vittime né ciò per cui hanno vissuto: un diritto di cui tutti dovrebbero poter godere, vivere una vita di fede, senza paura.
Bila hamavet lanetzach: “Possa Egli distruggere la morte per sempre, e possa il Signore Dio asciugare le lacrime su ogni volto”.
Possa il Dio della vita, a immagine del quale siamo, insegnare a tutta l’umanità come servirlo santificando la vita.

Rav Lord Jonathan Sacks

(1 luglio 2014)