Israele – In cerca di giustizia, non vendetta

netanyahu
“Israele è uno Stato di diritto e tutti devono agire secondo diritto. Nessuno si faccia giustizia da solo”. A intervenire è il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Inammissibile la giustizia sommaria, da qualsiasi parte arrivi. Una risposta alle violenze di questi giorni, la riaffermazione dell’animo democratico di Israele. E a chiedere giustizia sono le famiglie di Eyal, Gilad e Naftali, i tre ragazzi assassinati, secondo le autorità, da due terroristi palestinesi legati al gruppo di Hamas. Molte le domande che gravitano attorno al caso, in particolare dopo la divulgazione dell’audio in cui si sente la richiesta di aiuto di uno dei ragazzi (“mi hanno rapito”, si sente bisbigliare Gilad Shaar, cui voce è stata riconosciuta dai genitori). I genitori chiedono chiarezza su cosa accadde quel tragico 12 giugno. Così come invocano giustizia i famigliari del sedicenne Mohammed Abu Khudair, il cui corpo bruciato è stato ritrovato ieri mattina in una foresta nei pressi di Gerusalemme. “Crimine brutale” – come l’ha definito Netanyahu – di cui ancora non sono stati identificati i responsabili, nessuna pista è esclusa anche, stando a fonti di diversi media israeliani, gli investigatori stanno battendo la pista dell’estremismo di destra israeliano. L’assassinio sarebbe stato compiuto come vendetta per l’omicidio di Eyal, Gilad e Naftali. Accorato l’appello a fermare le violenze da parte della famiglia di Naftali Fraenkel, che ha condannato l’assassinio del giovane palestinese. “Non c’è differenza tra il sangue di un ragazzo ebreo e quello di un arabo. Un assassinio è un assassinio, non esiste giustificazione, non esiste perdono”, hanno affermati i Fraenkel. Le autorità israeliane sono dunque impegnate a rispondere alle domande di giustizia delle famiglie coinvolte.
“Mi aspetto che qualcuno venga e mi dica chiaramente come sono andate le cose quella maledetta notte”, ha dichiarato ai media la madre di Gilad Shaar, Bat Galim. Nella registrazione di 2 minuti e 9 secondi, pubblicata dal sito del quotidiano Yedioth Ahronot, si sente uno dei rapitori urlare “tre!” in arabo. E poi si sente cantare con tono allegro i due terroristi. Poco dopo uccideranno i tre ragazzi. Anzi, secondo quanto riporta la radio militare israeliana, i terroristi avrebbero sparato i tre colpi mortali nel corso della telefonata partita per chiedere aiuto alla polizia. Nella macchina usata per il rapimento, una Hyundai a cui i rapitori daranno fuoco, sono stati trovati dei bossoli e del sangue.
L’esercito sembra essere vicino alla cattura di Marwan Kawasme e Amar Abu Aysha, considerati i colpevoli del rapimento e triplice omicidio. Entrambi sono della zona di Hebron, dove si è svolta la tragedia, e conoscono bene la zona e i suoi tunnel sotterranei, usati da Hamas per il traffico di armi. Ma una domanda dolorosa fa capolino: perché, di fronte a tutte queste informazioni, per 18 giorni è stata alimentata la speranza di trovare i ragazzi vivi? Lo chiede Bat Galim. E sono molti i commentatori a rilanciare questo punto interrogativo.
Altre domande sono quelle che si pongono gli investigatori a Gerusalemme, per cercare di capire chi siano i responsabili dell’uccisione di Mohammed Abu Khudair, il cui corpo è stato trovato bruciato in una foresta. Al momento c’è molta cautela nell’indicare la via che si sta battendo ma sembra che la più probabile sia quella dell’estrema destra nazionalista. Secondo alcuni media, chi ha rapito e ucciso il sedicenne palestinese sarebbe stato immortalato in un video. Ne è convinto il padre del ragazzo, che accusa gli israeliani dell’assassinio del figlio e sostiene che le autorità israeliane non vogliano trovare i colpevoli. Accusa i coloni o lo Shin Bet, il servizio di intelligence interna d’Israele, il padre di Mohammed e lo fa attraverso la radio dell’esercito israeliano. Intanto le indagini continuano e lo stesso Benjamin Netanyahu ha auspicato che vengano trovati il prima possibile i responsabili.

Daniel Reichel

(3 luglio 2014)