Identità: Chaim Perelman

perelmanNel 1958 l’allora Primo ministro dello Stato di Israele, David Ben Gurion si è trovato a gestire il fatto che la nozione stessa di identità ebraica era diventata in Israele oggetto di una legislazione che avrebbe avuto implicazioni pratiche cruciali. A cinquanta “Saggi di Israele” Ben Gurion pose la domanda divenuta il titolo del lavoro del professor Eliezer Ben Rafael, che in un e-book intitolato “Cosa significa essere ebreo?” – scaricabile dai siti www.proedieditore.it e www.hansjonas.it – ha messo in luce per la prima volta in Italia quella discussione sistematica sull’identità ebraica. Ogni domenica, sul nostro notiziario quotidiano e sul portale www.moked.it, troverete le loro risposte. Oggi la risposta di Chaim Perelman
(1912-1984).
Nato a Varsavia, nel 1925 emigra con la famiglia in Belgio. Studia all’Università Libera di Bruxelles dove, dal 1944, è professore ordinario e insegna logica e metafisica. Nel 1955 è tra i fondatori del Centre National Belge de Recherches de Logique e, dal 1959 al 1962, preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Libera. Nel 1967 fonda il Centre de Philosophie du Droit de l’Université Libre de Bruxelles. Perelman è stato anche membro del Consiglio direttivo dell’Università Ebraica di Gerusalemme, fondatore e presidente della Société belge de Logique et de Philosophie des Sciences (1948) e segretario della Fédération internationale des Sociétés de Philosophie (1953). Per il suo impegno accademico è stato insignito del titolo di barone dal Re Baldovino del Belgio (1983). Tra le sue opere figurano Le traité dell’argumentation (2 voll. 1958), Rhéthorique et philosophie (1952), realizzate in collaborazione con Lucie Olbrechts-Tyteca,145 e Justice et raison (1963).

Bruxelles, 10 gennaio 1959

Signor Primo ministro,

Ho ricevuto la Sua lettera circolare relativa alla qualità di ebreo in esecuzione della decisione del governo israeliano del 15 luglio 1958. Sono molto sensibile all’onore che mi fa consultandomi in merito e La ringrazio vivamente.
Dopo matura riflessione, mi permetto di indirizzarle le seguenti osservazioni:
1. La questione dell’iscrizione dei figli di matrimoni misti la cui madre non è ebrea crea difficoltà solo se si desidera che alle rubriche nazionalità e religione sia data una stessa risposta per quanto riguarda gli ebrei. Infatti, se dei genitori hanno potuto beneficiare delle disposizioni della legge del Ritorno, essendo stati ammessi come ebrei in Israele, mi sembra difficile e contrario ai sentimenti di umanità e alla legge del Ritorno non dare corso al loro desiderio di vedere il proprio figlio registrato come ebreo nella rubrica nazionalità. Non è la stessa cosa per quanto riguarda la rubrica religione. Sono le autorità religiose che, a mio avviso, hanno la competenza per determinare le condizioni di appartenenza alla religione ebraica.
2. Personalmente, in quanto ebreo non religioso, troverei più semplice, e conforme all’evoluzione che ha luogo in tutti i popoli civilizzati, separare le due rubriche nazionalità e religione. Va da sé, del resto, che tale separazione deve portare alla progressiva laicizzazione dello Stato di Israele, di modo che i suoi abitanti, se lo desiderano, possano vedere regolato tutto ciò che riguarda il loro statuto personale solo dalle leggi dello Stato e dalle autorità laiche. Si obietterà, forse, che l’ebraismo, in conformità con una tradizione millenaria, non fa distinzioni tra religione e nazionalità, che nella comunità ebraica si deve vedere una grande famiglia praticante riti che manifestano l’alleanza al Dio di Israele e all’insegnamento di Mosè, che si falsa lo spirito della religione ebraica, volendo modellarla su concezioni universaliste come il cristianesimo, e l’idea di nazione ebraica, cercando di separarla da ogni elemento religioso. I dirigenti dello Stato di Israele hanno del resto riconosciuto che una frattura tra il criterio religioso e quello nazionale avrebbe gravi conseguenze e hanno ritenuto che il fatto di non appartenere a una religione diversa da quella ebraica costituiva una condizione per iscriversi come ebreo nella rubrica nazionalità. Resta però il fatto che questa famiglia ha diritto di prendere in mano il proprio destino, che ha diritto a elaborare leggi che più gli convengono e che non si può chiedere a tutti i suoi membri di vivere sotto l’influenza di un sistema giuridico vecchio di tremila anni e che da più di mille anni non è stato più adattato, dai suoi interpreti, alle condizioni mutevoli della vita sociale e politica. Fintanto che gli scontenti della legislazione erano liberi di sfuggirvi, questa poteva restare rigida, essendo applicata soltanto a chi lo voleva. Ma se deve diventare costrittiva, anche per i non credenti, è indispensabile che si adatti a una coscienza moderna… Comunque sia, nella concezione moderna di uno Stato democratico, non è possibile che una parte fondamentale della vita dei suoi cittadini sfugga interamente alla sua competenza. Per valutare la qualità di ebreo, per poter applicare la legislazione israeliana che fa uso di questo termine, non si vogliono separare le due rubriche religione e nazionalità; ma non si può tuttavia negare allo Stato di Israele il diritto di ispezione in materia, vincolandolo in anticipo alla tradizione religiosa. Se vogliamo che i punti di vista nazionale e religioso vadano di pari passo, senza essere coordinati, dobbiamo aspettarci dei conflitti di interpretazione. Per evitare simili conflitti, che potrebbero essere solo pregiudizievoli per lo Stato di Israele, sarebbe auspicabile la creazione di un tribunale misto, composto da giudici designati, per esempio, dal Parlamento israeliano, dall’Agenzia ebraica e dalle istanze religiose ebraiche, che dovrebbero deliberare su tutti i casi di contenzioso. Fino a quando non verrà costituito, sarebbe di competenza della Corte suprema dello Stato deliberare su tale questione, come su tutte quelle relative all’interpretazione della legge israeliana, senza che le decisioni abbiano un qualsiasi peso dal punto di vista religioso. Spero che queste osservazioni Le potranno essere di una qualche utilità e La prego di gradire i sensi della mia più alta stima.

(13 luglio 2014)