Qui Roma – In nome di Eyal, Gilad e Naftali
Un pubblico folto e silenzioso si è riunito al Tempio Maggiore di Roma, aperto ieri sera in ricordo di Eyal, Gilad e Naftali, i tre ragazzi rapiti e barbaramente uccisi da Hamas i cui corpi sono stati ritrovati due settimane fa. La serata, il cui titolo era ‘Il silenzio di D-O. Il grido dell’uomo’ è stata organizzata dalla Comunità Ebraica di Roma, Assessorato alle Politiche Giovanili in collaborazione con Bene Berith Giovani, Delet, Unione Giovani Ebrei d’Italia e Cgt e ha preso avvio con l’intervento del rabbino capo rav Riccardo Di Segni. Il rav ha sottolineato quanto sia importante ricordare le radici della nostra identità e domandarci che cosa stiamo facendo per aiutare in questo momento così difficile. Oggi, 17 di Tamuz, inizia infatti un periodo di tre settimane che è il più triste dell’anno, nel quale si applicano progressivamente delle regole simili al lutto. Per questo è molto importante farsi un’analisi di coscienza e assumere un impegno di fedeltà e di fiducia nei confronti del Signore.
Concludendo il suo intervento rav Di Segni cita un verso del profeta Isaia recitato dagli ebrei sefarditi all’uscita di Kippur, che sembra avere un particolare significato in questi giorni: ogni strumento usato contro di te non avrà effetto e ogni lingua che sorge contro di te, riuscirai a farla condannare. Come ci colpisce il nemico da Isaia ad oggi? Con la lingua, con la diffamazione. E cosa dice Isaia? Che non avrà successo. A prendere la parola subito dopo il rav Roberto Colombo il quale, partendo dal tema del silenzio, si domanda se esso non sia una forma di dialogo citando un evento presente nella Torah, precisamente nell’haftarà di Pinchas, quando Eliyahu Anavì è costretto a scappare nel deserto, si imbatte in un forte vento ma Hashem non è nel vento. Dopo il vento segue un terremoto, ma Hashem non è nel terremoto. Dopo il terremoto segue un grande fuoco, ma Hashem di nuovo non è nel fuoco. All’improvviso una voce di silenzio. Rashì chiede come è possibile che sia una voce di silenzio e proprio qui i maestri intuiscono che il Signore è al centro del silenzio e noi dobbiamo essere in grado di ascoltarlo. L’urlo da parte degli ebrei non è un tema nuovo, continua rav Colombo, perché più volte nella Torah sono presenti scene in cui il popolo ebraico si trova ad urlare per invocare il Signore. Per esempio, subito dopo l’uscita dall’Egitto, è scritto nella Torah che gli ebrei hanno pregato come mestiere dei loro padri e questa frase ci fa capire dice Rashì come in verità gli ebrei non sappiano più pregare ma abbiano solo preso l’abitudine dei loro padri. Proprio per questo motivo il silenzio di KBH è terribile e ci sta dicendo che bisogna smettere di urlare perché ormai è tempo di far uscire la tefillah da dentro stando in silenzio. Non bisogna dire: ‘’Il grido dell’uomo’’ ma ‘’la Torah dell’uomo’’. Infine rav Colombo conclude dicendo che in ogni silenzio è presente una voce, la voce di D-O, l’urlo è un momento di sconforto, un momento di rabbia che i rabbanim collegano all’idolatria e quando cadiamo nello sconforto è molto facile che la rabbia interna si trasformi in un urlo da gettare fuori. Ma proprio per questo, nel momento in cui ci troviamo, non dobbiamo farci prendere dallo sconforto. Anzi, è importante sentire il silenzio per poter ascoltare quello che Hashem ha da dirci.
Angelo Piazza
(15 luglio 2014)