#IsraeleDifendeLaPace – Come si è arrivati al conflitto

dellapergolanlSono ore di grande apprensione per tutta Israele così come per le Comunità ebraiche del mondo. L’attenzione è rivolta a quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza, dove ieri sera ha preso avvio la delicata operazione via terra dell’esercito israeliano. L’obiettivo, distruggere le postazioni di lancio con cui Hamas minaccia la popolazione israeliana e soprattutto i tunnel sotterranei, utilizzati dall’organizzazione terroristica per cercare di infiltrarsi in Israele. Tre i tentativi nelle ultime settimane, diretti a provocare vittime tra i civili israeliani, prontamente sventati dall’Idf (Israel Defence Forces). Ma come si è arrivati a questa situazione? Quali sono le previsioni possibili? Come si è comportato finora l’ebraismo della diaspora? Risponde il demografo Sergio Della Pergola, ospite in queste ore del laboratorio giornalistico UCEI Redazione Aperta.

Cosa è accaduto in queste settimane che ha portato l’esercito israeliano alla delicata decisione di entrare nuovamente nella Striscia di Gaza?

In queste ultime settimane in Israele siamo passati attraverso almeno tre fasi problematiche diverse, legate al conflitto palestinese, e tutto il molto che si voleva dire su un fatto è stato soffocato da quello che si voleva dire sul fatto successivo, salvo essere nuovamente spiazzati da quello dopo, e non capire ancora interamente il possibile successivo sviluppo. In rapidissima successione c’è stato il rapimento dei tre ragazzi ebrei israeliani, seguito dalla loro uccisione e dal funerale; l’uccisione, evidentemente per vendetta, del ragazzo arabo di Gerusalemme Est, seguita dalle dimostrazioni dei palestinesi nei territori e in Israele; la ripresa dei massicci lanci di razzi e di missili dalla striscia di Gaza sulla popolazione civile israeliana, seguita dalla reazione dell’aviazione israeliana contro i dirigenti politici e militari e contro gli impianti bellici di Hamas.

Come ha gestito queste tensioni il governo di Israele?

Messo di fronte a situazioni di estrema difficoltà il governo di Benyamin Netanyahu ha rivelato due aspetti contraddittori. Il primo è la totale spaccatura ideologica fra le varie componenti della coalizione: da un lato gli attivisti e gli interventisti (inclusi “i giovani turchi” del Likud) capeggiati da Naftali Bennett e da Avigdor Liberman, il quale ha rotto definitivamente il suo precario patto con Bibi; dall’altro i moderati guidati da Tzipi Livni, Yair Lapid e – nei fatti anche se non nelle parole – dal ministro della difesa Moshe Ya’alon. Con questa molto cacofonica coalizione, Netanyahu sta dimostrando inaspettate doti di sangue freddo, di tempismo e di equilibrio. Di fatto, Bibi cerca di collocarsi come ago della bilancia della politica israeliana, con il suo partito schierato quasi interamente alla sua destra. Le sue capacità di manovra sono scarse, ma non inesistenti. E c’è chi ritiene che il momento della crisi sarebbe il più adatto per la grande politica. Nelle prossime settimane sapremo meglio con quale giudizio Bibi passerà alla Storia.

Ad oggi Hamas ha lanciato oltre 1400 missili su Israele mettendo a dura prova la popolazione. L’obiettivo del movimento terroristico sono chiaramente i civili, per questo i suoi missili puntano sulle città israeliane, per seminare il terrore nel paese. Quale risposta ha dato Israele a queste minacce?

Decisivo in queste difficili contingenze l’apporto del sistema antimissile Cupola di ferro (Kipàt barzèl) che dimostra di poter ridurre in grandissima misura l’impatto delle centinaia di razzi lanciati dalla zona di Gaza verso obiettivi sempre più distanti che coprono gran parte del territorio d’Israele. Gli israeliani sono dotati di grande perseveranza (altrimenti sarebbero scomparsi da tempo). Sono indubbiamente infastiditi dalle circostanze dello scontro con Hamas, ma in questi periodi più difficili si misurano con la situazione con spirito positivo e con accresciuta solidarietà. Un’eccezionale partecipazione di pubblico e di autorità si è avuta in occasione del funerale dei tre ragazzi rapiti e uccisi, al centro del quale si è potuta apprezzare la grande dignità dei genitori delle vittime. Non è mancata un’opinione critica sulla supposta pomposità statale della cerimonia, ma va riconosciuto che la partecipazione del pubblico è stata corale e sincera. In gergo postmoderno, identità e costruzione nazionale.

Al brutale assassinio dei tre ragazzi israeliani, Eyal, Gilad e Naftali, da parte del terrorismo palestinese è seguito un atto che ha scosso la coscienza della società israeliana: l’efferata vendetta di cui è rimasto vittima un ragazzo palestinese, compiuta da un gruppo di estremisti israeliani. Le massime autorità dello stato ebraico hanno subito condannato l’atto e assicurato i responsabili alla giustizia. Come ha reagito il mondo palestinese?

Da parte loro i palestinesi hanno dato un esempio di coralità altrettanto sincero, ma di stile diverso (rispetto agli israeliani, ndr), con grandi manifestazioni pubbliche nei territori e in Israele. Fra l’altro, sono state divelte e rase al suolo tre stazioni della linea del tram che passano nei quartieri arabi di Gerusalemme. Nello stesso gergo post-moderno, identità e distruzione nazionale.

Sin dall’inizio dell’ennesimo round tra Israele e Hamas, scatenato dalla pioggia di missili partiti dalla Striscia di Gaza, è mancata una voce, quella internazionale. Perché?

Di fronte alle contraddizioni e sventure del Medio Oriente sembra che i paesi democratici abbiano perso gli strumenti di navigazione e con essi la rotta. La mappa geografica determinata cento anni fa dagli interessi delle “grandi potenze” Inghilterra e Francia è oggi totalmente irrilevante, le vecchie potenze sono scomparse, ma le nuove potenze non hanno ancora elaborato un possibile ordine alternativo. Duole notare, in particolare, il fallimento della dottrina americana, partita con la buona seppure ingenua intenzione di esportare i valori della democrazia occidentale, e ridotta oggi a cercare alleanze con la Siria di Assad e con l’Iran di Khamenei, dopo aver scaricato l’Egitto di Mubarak e scelto quello di Morsi. Si chiedeva un umorista: dov’è Saddam Hussein, ora che avremmo tanto bisogno di lui?

Israele si sta difendendo dalla minaccia di Hamas, che posiziona le sue postazioni di lancio tra le case, davanti agli ospedali e alle scuole. I media internazionali sembra chiudere gli occhi davanti a tutto questo. Perché?

Guidati dai loro interessi commerciali e dalle loro ideologie, i grandi canali di comunicazione cercano di posizionarsi generalmente su una linea di buonismo umanitario. Il fatto che Israele continui a fornire carburante, elettricità e derrate alimentari alla popolazione di Gaza viene ignorato. Viene semmai notata la sofferenza dei civili, cinicamente strumentalizzati da Hamas, o il rifiuto di Israele di fornire tondino di ferro che serve a costruire le fortificazioni sotterranee dove si immagazzinano i missili e si nascondono i dirigenti politici. Dove la voce dei lettori viene riportata in calce agli articoli in rete, è increscioso notare commenti apertamente antisemiti. Chi non si dissocia dall’antisemitismo ne è di fatto complice.

Le Comunità ebraiche di tutto il mondo sono vicine e solidali con Israele. E quanto accade in Medio Oriente ha dei riflessi anche in tutte queste realtà. Quale connessione c’è tra il mondo della Diaspora e lo stato ebraico in questo momento?

Come sempre fra l’incudine e il martello, la Diaspora ebraica vorrebbe esprimersi ma non può, oppure potrebbe esprimersi ma non sa. C’è sempre chi cerca di ritagliarsi un piccolo ruolo mediatico nel momento della crisi. Ma resta il fatto ben più importante che nelle decisioni strategiche di Israele la Diaspora non gioca nessun ruolo, mentre le decisioni strategiche di Israele influenzano profondamente la posizione della Diaspora di fronte ai rispettivi contesti nazionali. È ancora e sempre auspicabile che si riesca un giorno a creare una vera tavola di discussione riconosciuta e rappresentativa fra governo israeliano ed ebraismo mondiale. Gli interessi condivisi sono molti e importanti, specialmente nei momenti di crisi come questo.

(18 luglio 2014)