…danni

Certo un doloroso danno collaterale del conflitto fra Israele e il regime di Hamas a Gaza sono le numerose perdite umane, in particolare quell’aliquota di civili e di minorenni non combattenti. Ma ancora più gravi sono i danni creati alla società civile dalla quotidiana informazione mediatica e da molti animatori del dibattito politico e filosofico. In questi giorni in Italia i grandi canali comunicazione – stampa e televisione – hanno dimostrato limiti gravi di conoscenza del territorio e dei suoi attori, e hanno fornito immagini e spiegazioni assai poco bilanciate, anche se non in misura così estrema come già altre volte in passato. Ricordiamo in special modo la copertura della guerra in Libano nel 1982 e le sue violentissime valenze anti-israeliane e antisemite, culminate con l’attentato al Tempio di Roma. Prove di insufficienza giornalistica vengono per esempio da canali televisivi come RaiNews 24 e TgCom24 che ritrasmettono a ciclo continuo immagini di repertorio accuratamente selezionate e accompagnate dai commenti in studio e sul terreno da parte di persone totalmente incompetenti della materia. Alcune delle scene viste e riviste non appartengono al mondo del giornalismo ma piuttosto a quello della propaganda di Hamas. Lunghe e ripetitive le scene dei feriti a Gaza, ma nemmeno un tentativo di documentare uno solo dei 1500 lanci di missili verso Israele. Facile documentare Netanyahu, fateci però vedere lo scoop dell’intervista faccia a faccia con Haniyeh nel bunker. Ma ben più insidiosi sono i danni collaterali al livello della discussione di sostanza. Non pensiamo tanto al pensatore debole o all’esternatore bulgaro, tanto ripetitivi, prevedibili, autoreferenti, dediti all’invettiva e orientati verso platee limitate e già ossessivamente schierate. Pensiamo piuttosto ad altre voci indipendenti, influenti, coscienziose che in generale hanno predicato i valori della democrazia, della tolleranza, della memoria, del pluralismo, ma in questo caso non hanno provato sdegno e comunque hanno scelto di tacere sulla carta costitutiva di Hamas, incluso l’articolo 7, o magari sul massacro e l’espulsione dei cristiani, e hanno poi trovato normali (dunque degni di silenzio) i lanci di missili sulle città israeliane, i bunker sotto gli ospedali palestinesi, e i depositi di munizioni nelle scuole sovvenzionate dall’ONU. Ora questi stessi gridano indignati di fronte al bambino ucciso mentre giocava al pallone nel mezzo della battaglia di Gaza. Non basta aver il pezzo pronto nel cassetto e tirarlo fuori al momento opportuno, le scelte morali andavano fatte prima e con coerenza. Qui è in corso un collasso del rispetto che non sarà facile ricucire. Se poi folli fanatici aizzati dovessero ripetere l’attentato alle istituzioni ebraiche (come è già avvenuto in Francia), la responsabilità non potrà eludere chi con la disinformazione, col silenzio o con la parola ha svolto opera di fiancheggiamento del terrorismo islamico.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

(24 luglio 2014)