I bambini hanno paura

i bambini hanno pauraYotam Dagan è responsabile dei programmi di cooperazione internazionale di Natal, una ONG (organizzazione non governativa) israeliana che si prende cura di coloro che hanno subito un trauma collegato alla guerra o al terrorismo.
La sua spiegazione degli effetti della guerra sui bambini – valida anche per gli adulti – è chiarissima: “Parlare di un trauma psicologico è come parlare di un proiettile invisibile, che nessuno può vedere. Essere stati vicini alla morte, o essere stati presenti all’esplosione di bombe, razzi o anche vivere nella paura di questi eventi è davvero come essere colpiti da un proiettile invisibile che ferisce mente e anima”.
Sono molti i ricercatori e gli attivisti israeliani che cercano di alleviare il problema, un trauma forte che avrà conseguenze su una generazione di bambini, sia israeliani che palestinesi.
Come aggiunge Dagan: “Non è un problema esclusivamente israeliano così come non è un problema esclusivamente palestinese: i bambini sono bambini, ovunque vivano. Ogni qualvolta qualcuno apre le ostilità, ovunque, in qualsiasi contesto, si può essere sicuri che i primi ad esserne colpiti, e quelli che ne soffriranno di più, sono i bambini.”
I bambini coinvolti nel conflitto sono traumatizzati. Dal conflitto, ma anche dai suoi effetti meno violenti. Essere costretti a vivere lontani dalla propria casa, dai propri amici, è già una causa di sofferenza, e di paura: Roni Taronski ha dodici anni e si è spostata con la sua famiglia a una ventina di chilometri da casa sua, che è diventata una sorta di base militare a causa della vicinanza col confine. “Voglio andare a casa mia, ma non posso. So che qui sono più al sicuro, ma io ho paura. Parole simili a quelle pronunciate da Samira Attar, tredicenne del quartiere di Beit Lahia, a Gaza, che è rifugiata in una scuola dell’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite. Samira ha raccontato con enorme tristezza di odiare il posto in cui si trova: “Ho paura, ma voglio tornare a studiare e a giocare dove ero prima, con i miei cugini e con le mie sorelle, voglio vivere una vita normale”.
Derdah al-Sha’er, professore di psicologia all’università di Al-Aqsa, a Gaza, spiega che circa metà della popolazione di Gaza è composta da bambini e ragazzi, e la grande maggioranza di loro sono seriamente traumatizzati. “La violenza delle scene di guerra, la distruzione delle case e lo spettacolo dei corpi smembrati, sommati al buio di notti senza elettricità in cui risuonano le esplosioni… sono tutte esperienze terrificanti. Per i bambini tutto questo è ancora peggio.”
Nonostante non ci siano morti fra i bambini israeliani la dimensione del trauma è grande, ed è costante: in particolare nelle zone più vicine al confine l’incessante minaccia dei missili è una costante della loro infanzia. Sin dal 2001 l’arrivo dei razzi è quotidiano e nel sud di Israele si arriva, nei periodi di conflitto aperto, a una media di sessanta colpi al giorno.
Roni Lior lavora per la Israeli Trauma Coalition e coordina il programma che cerca di aiutare coloro che sono coinvolti in situazioni violente nell’area di Sderot e di Gaza: “I bambini che vivono vicino al confine – da ambo le parti – sono sempre tesi, nervosi, e scattano per un nonnulla. Nelle ultime due settimane le richieste di aiuto sono aumentate del 700 per cento, e sono migliaia le persone che hanno bisogno di supporto. tantissimi sono genitori, che non sanno più come aiutare i loro figli.”
Mika Cohen ha 10 anni, e vive a Ein Besor, a meno di venti chilometri dal confine con Gaza. ha 15 secondi per arrivare a un rifugio, quando suonano le sirene. Cerca di mostrarsi forte e dice che “Qualche volta ho paura ma sappiamo cosa dobbiamo fare, siamo abituati”. Sua madre però racconta una storia diversa: i bambini sono così terrorizzati all’idea di non sentire un allarme che rifiutano di allontanarsi dai propri genitori. A volte i proiettili invisibili sono i peggiori.

Ada Treves twitter @atrevesmoked

(29 luglio 2014)