L’avanzata del Califfato

rassegnaMigliaia di persone hanno salutato Hadar Goldin, il soldato israeliano creduto vittima di rapimento e invece ucciso nel corso di scontri a Rafah scatenati da Hamas durante la tregua umanitaria. Presente ai funerali anche il ministro della Difesa Moshe Yaalon, legato a Goldin da uno stretto vincolo di parentela. Tsahal prosegue intanto il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza ed è al lavoro per creare “una fascia di sicurezza temporanea” per difendere le popolazioni del Sud dal lancio di missili e ordigni, ma il conflitto è ancora lontano dal dirsi concluso. Ieri, una nuova giornata di sangue. Ad essere colpita, mentre si dava la caccia a un gruppo di terroristi, è stata anche una scuola dell’Onu. L’episodio ha suscitato la condanna del segretario generale Ban ki-Moon, mentre il dipartimento di Stato di Washington ha chiesto a Israele “di fare tutto il possibile per evitare vittime civili” (Maurizio Molinari, La Stampa).

Invoca una “intifada della non violenza” Mustafa Barghouti, già candidato alla presidenza della Anp (nel 2005 fu sconfitto da Abu Mazen). Intervistato da Vanna Vannuccini di Repubblica, il politico palestinese – che è nella delegazione inviata al Cairo – accusa Netanyahu di aver provato a rioccupare militarmente Gaza e lo Stato di Israele di praticare una nuova apartheid. La credibilità di Barghouti la si misura quando, chiamato a commentare i tunnel sotterranei realizzati da Hamas per praticare operazioni terroristiche, dice: “Sono stati presentati come una minaccia esistenziale per Israele, ma in realtà sono soprattutto un modo di resistere contro il blocco totale che dura da otto anni”.

Sul Corriere della sera, con l’ausilio di cartine e cronologie, Davide Frattini ripercorre le contrapposizioni tra israeliani e palestinesi dall’anno di fondazione dello Stato ebraico (1948) ad oggi. Da allora, osserva il giornalista, il conflitto non ha risparmiato “né i primi figli del kibbutz né i giovani di Facebook”. E la speranza della pace, dopo 66 anni di tensioni, resterebbe “sfuggente”.

Interviene senza mezze misure Jon Voight, popolare attore statunitense e padre di Angelina Jolie. “Vergognatevi”, dice rivolgendosi ai numerosi colleghi che in questi giorni hanno firmato un appello contro Israele dai toni durissimi (in un passaggio si parla ad esempio di “genocidio” perpetrato ai danni della popolazione di Gaza). “Avete diffamato l’unico paese di buona volontà in Medio Oriente”, denuncia Voight (Il Giornale).

Allargando la prospettiva a preoccupare, nel complesso, è l’ascesa dei fondamentalisti islamici in Medio Oriente e nella regione mediterranea. Ne scrive sulla Stampa Domenico Quirico, che ha vissuto sulla propria pelle la terribile esperienza di un rapimento: “Da Tora Bora a Bengasi: avanzano, galoppano davvero i fattucchieri della devozione islamica, i grandi e piccoli sensali del nuovo Califfato universale, quelli che vivono di santa guerra, le fronti aggrottate da una lugubre dottrina, le facce serrate come casseforti. E in mano sempre il coltello per liquidare, redimere, punire. La rivoluzione, anche quella fanatica in nome di Dio, si apre silenziosamente, come un fiore di ferro”. Un pericolo che è ormai alle porte dell’Europa, mentre l’Occidente – riflette Quirico – depenna ogni giorno lembi “che non possono essere più percorsi”. Si sbarrano le ambasciate, la gente fugge, le imprese indietreggiano abbandonando mezzi e denaro.

Azzarda paragoni impossibili il candidato alla presidenza del calcio italiano Carlo Tavecchio. Dopo l’esternazione a sfondo razziale sul famigerato Optì Poba che prima mangiava le banane e che ora giocherebbe in Serie A, affermazione che gli è valsa lo sdegno di gran parte dell’opinione pubblica, Tavecchio afferma: “Sono stato trattato peggio dell’assassino di Kennedy” (Gazzetta dello sport, tra gli altri).

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

(4 agosto 2014)