Fermare la follia
Il respiro stenta a seguire il suo ritmo di sempre. Una dopo l’altra si susseguono le immagini dei feretri avvolti nelle bandiere di Israele, pianti sommessi e occhi gonfi di dolore. Madri, padri, fratelli e sorelle. Tutto il popolo d’Israele intorno: Bne Akiva, Meretz, kippot, kibbutznikim. “È la Guerra” mi dicono gli amici ai quali domando il perché di tutto questo? “È la Guerra ed è inevitabile. Dall’altra parte non hanno nulla da perdere, il mito del Profeta è conquista, potenza e predominio. Cosi nascono le basi del terrorismo. E noi dobbiamo combattere per difendere la ragione”.
Israele si organizza: si compra nei supermercati di Sderot, di Ashkelon e di Ashdod, si cerca di continuare la vita normalmente ma i soldati al fronte sono tanti e gli allarmi si susseguono senza sosta. Alle 6:00 del mattino mi sveglio di soprassalto….le sirene…penso di essere a Sasa, nel mio kibbutz: “Ci stanno attaccando dal Libano…” penso…sveglio mio marito. La sirena è assordante…mi giro intorno, non capisco nulla. Mi rendo conto di essere ad Herzliya, da mio padre. “Dove si va? Dov’è il rifugio?” tre boati enormi sulla nostra testa. Mia sorella a Tel Aviv mi dice che un pezzo di missile è caduto nel parcheggio del suo palazzo.
Sto cercando di capire come si possa bloccare la follia. Come coinvolgere l’Occidente nella nostra lotta contro il terrorismo, come ricordare a tutti l’11 settembre, piazza Fontana e la strage di Bologna. L’irrazionalità antisemita riesce ad annebbiare i sensi e impedisce di vedere la realtà. Davanti alle salme di questi giovani di 20, 22, 30 anni, i genitori raccontano di amore per il Paese, di educazione al rispetto, di musica e di ideali. Immagini di volti puliti, sorridenti, di una bellezza che rispecchia tutto il mondo di affetto, di tenerezza, di dedizione completa nella quale sono cresciuti. Mostrano un video in cui Benaya, 26 anni, in ginocchio, porge l’anello alla sua ragazza, di Omri, che gioca a basket con il fratello, e le partecipazioni ai matrimoni che si sarebbero celebrati fra una settimana, fra un mese. Ma quando finirà tutto questo? Quando ci lasceranno in pace? Cosa possiamo fare per far si che, al di là della barriera, siano disposti a ricevere il nostro aiuto, che si convincano a collaborare, a condividere con noi la terra, le capacità, il destino? Perché l’Occidente non riesce a capire che l’opera di ricostruzione e rieducazione a valori estranei ai nostri vicini è urgente e non può avvenire senza la presenza massiccia di rappresentanti che siano tutto fuorché l’UNRWA? Urge mandare architetti, costruttori ed educatori che gestiscano fondi, che rielaborino l’ideale di morte, di martirio, di distruzione nel quale vengono cresciuti bambini innocenti. E davanti a tanta negatività sento crescere ogni giorno di più una preghiera: che ci sia dato di continuare a sperare, di mantenere il nostro spirito, la nostra positività, la nostra determinazione a reagire di fronte a chi tenta di annullare il nostro diritto ad esistere. Am Israel Hai!
Angelica Edna Calò Livne
(5 agosto 2014)