A Gaza, regge la tregua
Nelle prime 24 ore delle 72 stabilite, il cessate il fuoco tra Israele e Hamas ha retto. Da Gaza non sono partiti missili e Tzahal non ha dovuto usare la forza, almeno per il momento, per rispondere alla minaccia terroristica. Intanto continuano le trattative al Cairo per “raggiungere un cessate il fuoco ampio e permanente” (Sole 24 ore) tra le parti coinvolte nel conflitto. Parti che, come spiega Massimo Lomonaco sulla Gazzetta del Mezzogiorno, appaiono distanti: Israele chiede la smilitarizzazione di Gaza; Hamas, la rimozione del blocco su Gaza e la liberalizzazione del transito di persone e merci per i valichi controllati da Israele e Egitto. “Posizioni che sulla carta sembrano inconciliabili”, scrive Lomonaco che riporta il pessimismo del ministro della Sicurezza interna Yitzhak Aharonovich sui colloqui del Cairo. “C’è poca speranza di raggiungere un accordo. Ci vorrebbe un mago”, prevedendo nuove ostilità alla fine delle 72 ore che scadranno domani alle 24.
A Gaza, invece, la popolazione cova sentimenti contraddittori nei confronti della leadership di Hamas: “Nel caso di Hamas – scrive Bernardo Valli su Repubblica – si verifica un fenomeno sconcertante: il movimento comunque minoritario usa la popolazione con il massimo cinismo, ma il suo prestigio in netto calo cresce con il numero delle vittime civili, che danno ad alcuni un senso di partecipazione popolare. Sia pure imposta, strappata, involontaria”. Per ora dunque a Gaza l’appoggio al movimento terroristico di Hamas da parte della popolazione tiene ma il credito – prosegue l’articolo di Repubblica – potrebbe presto esaurirsi. Si muovono intanto le Nazioni Unite, con la formazione della “Commissione d’inchiesta del Consiglio dei diritti umani dell’Onu sulle violazioni delle leggi umanitarie e del diritto internazionale commesse nell’ambito delle operazioni militari nella Striscia di Gaza e nei territori occupati”, riporta il Corriere. Il dito, come spesso accade alle Nazioni Unite, sembra puntato solo nei confronti di Israele, in un conflitto iniziato a causa delle violenze di Hamas.
Giovedì sera alle 20.30 a Milano si terrà una preghiera comune fra cattolici, musulmani ed ebrei per le minoranze cristiane e yazide perseguitate in Iraq. È “la prima iniziativa ecumenica in Italia, in solidarietà con le popolazioni in fuga davanti all’avanzata delle milizie jihadiste nei territori occupati dall’Isis”, Repubblica. “I vertici cittadini delle tre comunità religiose sono al lavoro da ieri sera per riuscire ad organizzare questa veglia comune, la prima dallo scoppio della crisi mediorientale”. Tra i primi a proporre l’iniziativa, rav Giuseppe Laras, presidente del Tribunale rabbinico del Centro nord Italia. “In queste ore drammatiche di sofferenza e persecuzione desidero esprimere vicinanza e solidarietà alle chiese cristiane”, aveva scritto Laras – autore di un appello apparso ieri sul Corriere – in una lettera pubblicata sul Portale dell’ebraismo italiano moked.it e ripresa da Repubblica.
Dal Medio Oriente, dalle zone controllate dalle milizie jihadiste, continuano ad arrivare notizie inquietanti. Sul Corriere della Sera, l’inviato Lorenzo Cremonesi racconta la straziante fuga per la sopravvivenza della comunità religiosa degli yazidi, braccati dalla persecuzione degli uomini del Califfato. Drammatico il racconto su La Stampa del sempre più diffuso e criminale uso di bambini-soldato da parte del’Isis, e non solo. “La ‘generazione Califfato’ cresce sfidando i mostri infantili – scrive Francesca Paci – per trasformarli in incubi da adulti. Come già i piccoli guerrieri ugandesi del Lord’s Resistance Army, come i 300 mila minori armati al momento nei conflitti di mezzo mondo”.
Dove sono finite le “primavere arabe”? Sul Mattino Francesco Nicolucci spiega le evoluzioni mediorientali. “C’è un problema di potere, del potere, nell’Islam di oggi – afferma Nicolucci – Nel vuoto generato dall’incapacità di fornire risposte e soluzioni adeguate, da parte della politica locale come pure da parte dell’Europa e dell’Occidente, si è infilato come un cuneo l’Islam politico-radicale”. Su tutti, quanto sta accadendo in Iraq, simbolo, secondo l’editorialista, del fallimento di vecchi modelli centralistici e autoritari che non prendono in considerazione le varie anime del paese, lasciando così spazio alla violenza degli estremismi.
Daniel Reichel
(12 agosto 2014)