Vaticano e cristiani in Iraq
Di fronte ai massacri di cristiani in Iraq, il papa ha agito: ha mandato sul posto come suo inviato personale, il cardinale Fernando Filoni che fu a suo tempo pro nunzio a Bagdad. Forse è troppo poco. Di fronte all’esodo di centinaia di migliaia di cristiani verso il Kurdistan, nella speranza di trovarvi rifugio, ci vorrebbe una coalizione di stati pronti a intervenire. Bisogna battersi militarmente contro gli estremisti islamici che massacrano i cristiani, li espellono dalle loro case e li uccidono. Papa Francesco si è detto fiducioso che si possa trovare una soluzione politica efficace per metter fine ai crimini. Ma sembra evidente che senza un intervento armato degli Stati Uniti, i crimini contro i cristiani continueranno.
Quando fu fondato lo Stato d’Israele nel 1948, fu evidente ai suoi dirigenti che c’erano intere comunità di ebrei in pericolo sia nel Magreb sia in Iraq. Furono organizzate nei tre anni seguenti enormi operazioni logistiche che portarono in Israele circa 900.000 ebrei. Fu un salvataggio di grandi dimensioni seguito da un notevole successo. Nessuna approvazione fu pronunciata dalla Santa Sede che esprimeva invece una netta preferenza per gli arabi che avevano aggredito il nascente Israele.
Fulvio Scaglione su Famiglia Cristiana si accorge che i ribelli anti-Assad, sempre più islamizzati, sono divenuti fanatici col passare del tempo. Ma questa considerazione non era condivisa dai cattolici sul posto come padre Paolo Dall’Oglio della comunità monastica di Deir Mar Musa, antisionista all’estremo. Egli fu costretto ad abbandonare la Siria ma vi tornò e scomparve per opera degli islamisti locali suoi amici.
Secondo il cardinal Filoni c’è in Iraq una persecuzione in corso dalla quale circa un milione di persone cacciate dalle loro località, cercano un rifugio. Secondo Filoni i cristiani in Iraq debbono sentire che la Chiesa non li ha abbandonati ma li considera invece preziosi in quella terra, ed essi hanno tuttora fiducia in se stessi e nelle relazioni che possono stabilire con gli altri. Dubito però che i cristiani in fuga nel deserto iracheno possano ritenere che la Chiesa non li abbia abbandonati. Bisognerebbe invece chiedere ai paesi vicini come la Turchia di Erdogan, di accogliere i cristiani costretti ad abbandonare la loro terra natale.
Ci vorrebbe un’operazione simile a quella degli ebrei nel 1950 per salvare qualche decina di migliaia di cristiani. Forse meno dichiarazioni roboanti e più azioni efficaci. Per esempio la Turchia di Erdogan potrebbe essere un asilo efficace.
L’arcivescovo Giorgio Lingua, nunzio apostolico in Iraq ha raccomandato l’intervento dell’aviazione americana, altrimenti le forze dello Stato Islamico non saranno fermate. Egli si domanda: “Dovremmo chiederci come siamo arrivati a questo punto: ci fu un difetto di intelligence? Non siamo stati capaci di capire la situazione? Ed inoltre chi ha dato allo Stato Islamico armi così sofisticate?”.
Queste domande rimangono per ora senza risposta.
Sergio Minerbi, diplomatico
(12 agosto 2014)