Inchiesta del New York Times – Trapianti, leggi e abusi

17organs-ophira-superJumboInchiesta che lascerà il segno, quella dell’edizione domenicale del New York Times. Ad aprire la prima pagina ieri, lo sguardo malinconico e intenso di una giovane donna, Ophira Dorin (nell’immagine, dall’articolo del New York Times), israeliana volata in Costa Rica due anni fa per procurarsi un trapianto di rene: il donatore sarebbe stato pagato 18 mila 500 dollari (e lei ne ha pagati altri 175 mila per l’intervento) . A seguire, con il titolo “Kidneys for Sale – Reni in vendita” una lunghissima e dettagliata inchiesta firmata da Kevin Sack che in due paginate e mezza ripercorre le tortuose e spesso illegali vie con cui alcuni broker israeliani mettono in collegamento i pazienti in attesa di trapianto con donatori all’estero.
Il tema è di quelli che scottano, e non da ora. Già in passato era circolata l’accusa di traffico d’organi da parte di israeliani ma senza mai trovare fondamento. Due anni fa però l’Interpol aveva svelato un traffico con il Kossovo, poi erano emerse transazioni illegali in Ucraina. Ma qui la questione assume tutta un’altra portata.
Innanzi tutto il reporter non è una delle mille voci anonime che si rincorrono sul web. Kevin Sack, una lunga e brillante carriera alle spalle, due volte vincitore del premio Pulitzer, è una delle firme di punta del New York Times per cui si occupa di questioni legate alla salute e alla sanità e per quest’inchiesta – cui hanno collaborato Irit Pazner Garshowitz da Israele e Monica Quesado Cordero dal Costa Rica – ha realizzato oltre un centinaio di interviste rivedendo un’infinità di documenti. Inoltre, ed è ciò che più conta, il racconto di Sack, ricco di nomi e riferimenti, s’intreccia con una serie d’inchieste da parte delle autorità sia in Costa Rica sia in Israele nei confronti di intermediari e medici al centro del traffico internazionale d’organi e di speranza.
Nemmeno gli Stati Uniti, avverte il reportage, sono estranei al circuito degli organi illegali. Ma, si legge, “l’analisi del Times dei principali casi di traffico a partire dal 2000 mostra come gli israeliani hanno giocato un ruolo sproporzionato”. Il perché è presto detto. Trovare un organo per il trapianto è lungo e difficile in tutto il mondo. L’Organizzazione mondiale della sanità stima che gli organi a disposizione siano appena un decimo di quanto servirebbe. Ma in Israele il problema è ancora più drammatico, perché malgrado recenti modifiche di legge e aperture da parte dei rabbini, considerazioni di carattere religioso – tra cui l’idea che la morte si identifichi con la cessazione del respiro, come scritto nella Genesi e non con la morte cerebrale (presupposto alla base della donazione d’organo) o la credenza nella resurrezione fisica – continuano a frenare la pratica della donazione d’organo.
Il risultato è che Israele, secondo quanto illustrato sul Times, è agli ultimi posti tra le nazioni sviluppate per donazioni: appena 7,4 per milione di abitanti contro i 25,1 degli Stati Uniti e i 35,1 della Spagna (in Italia, secondo l’Aido-Associazione italiana donatori d’organo, il tasso è del 21,7 per cento). Ciò significa che per un nefropatico trovare un rene in tempo utile è difficilissimo. Amos Canaf, fondatore in Israele di un gruppo di difesa dei pazienti renali, citato dal Times, è categorico: “Se qualcuno sta programmando di fare un trapianto in questo paese, ha maggiori probabilità di vedere arrivare il Messia”.
Per Ophira Dorin come per molti altri non c’è dunque altra scelta che cercarsi un donatore all’estero. Il Costa Rica sarebbe solo l’ultimo di una serie di paesi balzati all’attenzione dei mediatori: dopo le Filippine, la Turchia, il Kossovo, l’Ucraina e altri ancora (contatti sono stati presi dai broker anche con il Perù e Singapore).
Il meccanismo messo in piedi per fare incontrare in Costa Rica la domanda e l’offerta di reni era piuttosto sofisticato. Da un lato un pugno di broker israeliani che per 100-200 mila dollari organizzano il trapianto al paziente. Trovarli non è difficile, basta chiedere in giro. Alla madre di Ophira basta fare qualche domanda nell’ospedale in cui lavora e spuntano subito i nomi.
Una parte del denaro incassato viene versato ai medici che eseguiranno l’intervento, il resto rimane nelle tasche del broker che, affermano i diretti interessati, non aiuta in alcun modo il cliente a procurarsi l’organo. Il malato viene indirizzato in Costa Rica a medici del posto che collaborano con la rete, fra i professionisti coinvolti figurava anche il direttore della Nefrologia di San Josè, uno dei pionieri nel suo campo.
I donatori sono uomini e donne in gravi difficoltà economiche, individuati da mediatori senza scrupoli (tra gli altri, spicca la figura di Maureen Cordero Solano, 33 anni, agente di polizia che nelle ore libere arrotonda guidando un taxi e chiacchierando con i clienti propone, a chi sembra avere bisogno di soldi, di vendere un rene). Il cliente arrivato dall’estero firma un po’ di documenti, il donatore riceve i soldi e dopo qualche giorno, il rene viene trapiantato. 
Gli esiti non sempre felici: i rischi di complicazioni sono elevati e i tassi di sopravvivenza più bassi di quelli ottenibili in patria. Ma per Ophira come per molti altri prima di lei, il trapianto all’estero è l’unica via per cercare di garantirsi la sopravvivenza.
In Costa Rica il caso, accompagnato da un’ondata di arresti dei medici e dei mediatori coinvolti ha suscitato enorme scandalo, tanto da indurre all’approvazione di una legge che rafforza le restrizioni per il commercio d’organi. In Israele le indagini proseguono (in passato alcuni broker erano già stati arrestati). Ma, come nota saggiamente Meir Arenfeld, soprintendente di polizia che se ne sta occupando, agli inquirenti è chiaro sia che vi sono donatori disposti a vendere i loro corpi per pochi spiccioli sia che gli arresti non sembrano spaventare oltremodo gli intermediari: “Vediamo che vi è un modello di comportamento che tende a ripetersi”.
Kevin Sack riferisce le azioni intraprese dalle autorità israeliane per cercare di contenere il fenomeno. Una legge contro il traffico d’organi; lo status preferenziale accordato per i trapianti a chi è a sua volta donatore; un protocollo per l’accertamento della morte cerebrale che consente la partecipazione rabbinica. I primi effetti non si sono fatti attendere, con donazioni aumentate di due terzi. Il fabbisogno però rimane elevato. Non stupisce dunque che molti considerino con favore la legalizzazione della donazione dietro compenso: diverrebbe così possibile, dicono i sostenitori, governare il fenomeno evitando rischi e sfruttamento. E in fondo, ci si chiede, perché un rene dovrebbe essere diverso dal ricorso a donazioni di ovuli, sperma o dalla maternità surrogata? Ma i quesiti etici rimangono e non sono lievi. Chiede Luc Noel, esperto di trapianti dell’Oms, vogliamo davvero vivere in un mondo in cui possiamo riconoscere il ricco dal povero contando i reni?

Daniela Gross

(18 agosto 2014)