Ancora un giorno di tregua
Almeno altre 24 ore di tregua: pur in assenza di un accordo definitivo si allungano i tempi a disposizione dei negoziatori, che sono riusciti a ottenere un altro giorno di calma. II governo israeliano aveva ordinato all’esercito di prepararsi alla fine del cessate il fuoco, ma allo stesso tempo (Corriere) “i gruppi principali, Hamas e la Jihad Islamica, non sembrano voler ricominciare a combattere dopo quasi un mese di guerra”. Inoltre non solo i negoziatori, ma anche Abu Mazen è stato nelle ultime ore impegnato a negoziare: il presidente palestinese è in Qatar, dove si è recato per incontrare il leader di Hamas Khaled Meshal, che – seppure dall’estero – pare abbia guidato le trattative.
Dall’Egitto il presidente egiziano intanto continua a chiedere che Abu Mazen riprenda il controllo della Striscia, e che le sue forze di sicurezza siano schierate al valico di Rafah. Ma – scrive ancora Frattini – “La riconciliazione tra Hamas e Fatah sembra restare sulla carta firmata in aprile anche perché i fondamentalisti non stanno cedendo il dominio della Striscia. Durante il conflitto i capi del movimento laico fondato da Yasser Arafat sono stati messi agli arresti domiciliari.”
In Israele intanto Netanyahu ha promesso ai residenti del sud del paese un ritorno a normalità e sicurezza, e lo Shin Bet – i servizi segreti israeliani – rivelano di aver arrestato numerosi estremisti che dopo aver acquistato armi e munizioni in Turchia si preparavano a destabilizzare ulteriormente la già compromessa situazione mediorientale, per favorire l’ascesa al potere di Hamas. Gli analisti non paiono convinti della reale possibilità del gruppo di influenzare la situazione.
Sempre in Israele, intanto, arabi e israeliani sono in grado di trovare maniere di convivere pacificamente: Alberto Flores D’Arcais su Repubblica racconta di come in Alta Galilea il kibbutz Kfar Hanassi abbia un piano di cooperazione con il vicino villaggio beduino. Il progetto di integrazione con Tuba-Zangaria, una realtà caotica che è cresciuta rapidamente negli anni, fino a raggiungere gli attuali seimila abitanti, ha già avuto l’appoggio del ministero degli interni, e prevede cooperazione in numerosi campi, dall’istruzione al welfare, dall’industria alla cultura. Nonostante le prevedibili paure e resistenze Giora Zelz, il presidente del Consiglio regionale, è ottimista: “Dobbiamo prenderci le nostre responsabilità e fare qualcosa che cambi veramente questa regione”.
In una lunga lettera al Foglio Nathania Zevi e David Parenzo raccontano la loro scelta di rinunciare a una vacanza già programmata per passare l’estate in Israele: “Essere ebrei significa vivere l’identità come collettiva, corale, empatica. Troppo spesso, però, questo atteggiamento viene frainteso da chi non ne comprende il profondo significato umano.” Contestualmente i due firmatari si chiedono come mai in giorni in cui il fondamentalismo islamico sta perseguitando con immensa ferocia i cristiani in molte parti del mondo il tono delle voci che si levano per manifestare la preoccupazione e l’indignazione per questa tragedia sia così basso.
Papa Francesco, alla fine del viaggio in Corea, risponde così alla domanda di Gian Guido Vecchi, sul Corriere, che chiede un parere sul bombardamento Usa in Iraq volto a tutelare le minoranze: “In questi casi, dove c’è un’aggressione ingiusta, soltanto posso dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare o fare la guerra, dico fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare dovranno essere valutati.” E aggiunge che “Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore”
A Roma ritornano gli appelli per il Museo della Shoah: dopo quello di Piero Terracina che chiedeva di inaugurare il Museo della Shoah per i 40 anni della liberazione di Auschwitz, l’architetto del sito museale Luca Zevi e il presidente della Fondazione Museo della Shoah Leone Paserman denunciano la troppa disattenzione da parte del Campidoglio. (Repubblica Roma). È ricchissima la documentazione già raccolta negli ultimi 10 anni dalla comunità ebraica e dal direttore del Museo Marcello Pezzetti, in attesa che la situazione si sblocchi.
Sul Giornale viene analizzata la modifica degli articoli 11 e 12 del codice di giustizia sportiva deliberati da Tavecchio e dal consiglio federale da lui presieduto per la prima volta ieri a Roma: offesa, denigrazione e insulto per motivi di origine territoriale non causeranno la responsabilità oggettiva delle società. “Gli stadi italiani sono discariche a cielo aperto nei e nelle quali è consentito ogni tipo di comportamento, di assembramento, nonostante leggi, norme e regolamenti dovrebbero disciplinarne l’accesso e la frequentazione.”
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(19 agosto 2014)