Periscopio – Goldstone 2
Politica e morale, come tutti sanno, sono tutt’altro che sinonimi, e le leggi dell’una sono ben diverse da quelle dell’altra. Tutti sanno, inoltre, che di morali ce ne sono tante, a seconda dei vari contesti temporali e spaziali: per secoli è stato considerato assolutamente lecito, o doveroso, sopprimere i bambini deformi, sfruttare gli schiavi, usare la tortura ecc., e ancora al giorno d’oggi ciò che suscita condanna o orrore in qualche parte del mondo (poligamia, infibulazione, pena capitale, persecuzione religiosa ecc.) è considerato giusto e normale altrove.
La novità, a partire dalla Seconda Guerra mondiale – il cui esito ha portato l’illusione che avessero vinto, dovunque, “i buoni” -, è che l’umanità, pur divisa in centinaia di diversi popoli e Paesi, seguaci delle più disparate regole morali, ha creduto di riunirsi in un’unica organizzazione internazionale, volta a preservare la pace del mondo e a evitare nuovi devastanti conflitti, nel rispetto degli interessi e degli equilibri delle grandi potenze vincitrici. Fin qui, niente di male, anzi bene. Fino a quando, però, non si è pensato che tale organizzazione, le Nazioni Unite, non dovesse occuparsi soltanto di Realpolitik, ma anche di “human rights”. È possibile trovare un ‘linguaggio comune’ in tema di diritti umani tra Paesi come, per esempio, la Nigeria e la Svezia, la Svizzera e la Corea del Nord, la Finlandia e la Siria? Sì, è meno difficile di quanto si pensi. Basta trovare un Paese piccolo, isolato, un po’ ‘strano’, che stia antipatico un po’ a tutti, a Sud e a Nord, a Est e a Ovest, a democrazie e dittature, e giocare, tutti insieme, al gioco dell'”human rights watch”. Un gioco semplice e divertente: si disegna su una sagoma la figura del “piccolo antipatico”, e tutti gli altri, tutti insieme, si mettono a scagliargli contro le freccette.
E così, giocando giocando, ci sarà la nuova Commissione di inchiesta, promossa dalle Nazioni Unite, incaricata di investigare sulle violazioni dei diritti umani avvenute nel corso dell’operazione militare “Scudo difensivo”, sul modello della famigerata “Commissione Goldstone” (dal nome del giudice sudafricano che la presiedette), chiamata a pronunciarsi sulla precedente operazione “Piombo fuso”, del 2009. Tale Commissione, come tutti ricordano, istituita su pressione di alcuni dei Paesi più radicali, oppressivi e oscurantisti del mondo sul piano dei diritti umani, funzionò come una sorta di tribunale della Santa Inquisizione, nel quale l’unico imputato, Israele, fu accusato e condannato per le più gravi nefandezze, tutte riconducibili, come al solito, all’inespiabile ‘peccato originale’ di pretendere di esistere, e di osare difendersi dagli aggressori. E non c’è ombra di dubbio sul fatto che la “Goldstone 2” porterà ad esiti assolutamente identici. Qualcuno, forse, si impegnerà ad analizzare minuziosamente le parole e gli aggettivi che saranno adoperati nella prevedibile, già scritta sentenza di condanna, per vedere se, e in che misura, ci sarà qualche vago, allusivo accenno ai missili, ai tunnel, alla politica di morte di Hamas, qualche implicito e obliquo riferimento a delle minime, marginali, indirette responsabilità anche di qualcuno che non sia sempre e soltanto Israele. Sottigliezze che dipenderanno dal peso giocato nella Commissione dalle varie componenti, dallo spazio che riusciranno a guadagnare i rappresentanti, per esempio, dell’Arabia Saudita, o dell’Iran, o del Qatar, o dalla forza delle urla della miriade di Ong che – lautamente finanziate, fra gli altri, dai contribuenti italiani – infestano il Palazzo delle Nazioni Unite, e il cui principale, se non unico, scopo – come egregiamente ricordato da Giovanni Quer, in un pregevole e desolante articolo apparso su “il Foglio” dello scorso 11 agosto – è sempre quello di criminalizzare, in ogni modo e con ogni mezzo, lo Stato ebraico.
Personalmente, se mai leggerò parte delle conclusioni della nuova Commissione, lo farò esclusivamente per valutare il livello di degrado morale raggiunto dalle Nazioni Unite: un’istituzione che avrebbe bisogno, essa sì, di una bella Commissione di inchiesta, incaricata non tanto di valutarne questo o quel comportamento, ma, più semplicemente, di appurare, una volta per tutte, quale sia, o dovrebbe essere, il codice morale di riferimento da essa tenuto presente, e di chiarire, una volta per tutte, quale sia, o dovrebbe essere, il senso della sua esistenza.
Francesco Lucrezi, storico
(20 agosto 2014)