Di fronte ai terroristi

Francesco Moisés Bassano“Fenomeni radicali come l’ISIS – afferma l’ultimo comunicato dei deputati del M5S – sarebbero da approfondire con calma e rispetto” alla risposta da parte di un giornalista della Stampa, su cosa intendessero per ‘rispetto’ il deputato Manlio Di Stefano risponde: “Noi occidentali abbiamo dato per scontato che la nostra fosse l’unica democrazia possibile. Affrontare le cause con rispetto significa interrogarsi se non ci siano altre forme di governo e di democrazia che vanno bene per i posti dove sono”. Il già noto Alessandro Di Battista arriva invece a dichiarare che “il terrorismo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella. [… e che anzi] bisogna elevare il terrorista ad interlocutore”. Queste parole, come il resto di queste dichiarazioni, che scongiurano qualsiasi tipo di intervento in Iraq, dimostrano l’ignoranza storica-politica di molti dei nostri parlamentari che con questa retorica potrebbero arrivare a giustificare ogni tipo di violenza o di dittatura presente o passata, o altresì testimoniano qualcosa di peggiore, a cui preferisco astenermi dal pronunciare.
Ma del resto non c’è poi da stupirsi, queste frasi non sono isolate, e sono il frutto di un pensiero comune e condiviso che va oltre i deputati grillini. Soprattutto tra i molti, che in questi giorni, continuano ad accusare Israele di nazismo e di genocidio, ma restano in silenzio di fronte alle efferatezze compiute dall’ISIS contro Yazidi, Cristiani ed altre minoranze, e si astengono da scrivere proclami o striscioni, per intervenire nella zona del conflitto o per armare la difesa dei Peshmerga, come esortavano con Hamas. Come sempre, viene presa una posizione solo nei conflitti strumentalizzabili, dove schierarsi significa prendere partito contro l’Occidente, in questo caso, come qualche internauta sta già tentando, viene spiegata la crisi irachena, soltanto con il solito escamotage del complotto ordito da Usa e Israele o altrimenti con l’abbandono completo al delirio, finendo per avallare che in fondo l’ISIS – come Hamas, come Hezbollah e tanti altri – non è che una manifestazione della resistenza anti-imperialista di alcuni popoli oppressi.
Non so se, come qualcuno in queste pagine ha già accennato, questa mentalità sia da relegare ad un controproducente relativismo politico-culturale che ha preso il sopravvento, legato ad un rivisitato ed estremizzato mito del “buon selvaggio”, dove la civiltà occidentale è la negatività assoluta, responsabile di ogni male nel mondo, e tutto ciò che non è Occidente è invece sinonimo di genuinità e di una bontà di fondo che non fa altro che difendersi dallo straniero. Difficile però è anche sostenere che all’opposto i modelli e i valori dell’Occidente sarebbero facilmente esportabili o imponibili altrove, e questo è stato del resto testimoniato più volte nella storia degli ultimi due secoli. Già Edmund Burke sosteneva che il fallimento della rivoluzione francese fosse dovuto anche dalla convinzione che i loro ideali fossero validi universalmente e in ogni contesto, lo stesso è accaduto con il marxismo centro-europeo che è giunto in Africa o nel Sud-Est asiatico producendo aberrazioni intrise con il nazionalismo e con un substrato tradizionalista alla base (come lo Juche nordcoreano), il capitalismo ugualmente si è imposto con forza in ogni luogo senza tener conto del tessuto storico-sociale e dei delicati equilibri locali. Le culture si scontrano e si contaminano inevitabilmente da sempre, non solo nel villaggio globale in cui viviamo, in questo contatto le stesse cercano di autoconservarsi diventando più intransigenti e spingendosi spesso al fondamentalismo o altrimenti “cedono” ricalcando i modelli esterni, e anche questo non sempre avviene coerentemente, perché spesso vengono adottati e riadattati i lati peggiori del “nuovo”, e dunque anche i nostri, perché anche noi abbiamo prodotto mostri. Con ciò non si può ugualmente legittimare questi fenomeni è non è presunzione o superiorità l’affermazione della validità di diritti universali, riscontrabili anche in altre culture o religioni, che non possono essere calpestati e che devono essere irremovibilmente difesi, specie in presenza di entità politiche che ne minacciano l’esistenza e violano la libertà dell’individuo – ricordando soprattutto che il terrorismo dell’ISIS non è certo espressione della volontà di un determinato popolo, ma è un fenomeno politico-militare che mira all’espansione e al totalitarismo – . Non mancano comunque, esempi di civiltà o popoli, che sono riusciti a conservare la propria identità, e al tempo stesso, ad accogliere soltanto gli aspetti più nobili dell’Occidente o dell’altro, e talvolta anche a migliorare la stessa società in cui sono entrati a contatto. Non ci sono solo ebrei o drusi, anche il Kurdistan Iracheno si è dimostrato, fino ad adesso, più aperto e protettivo, rispetto agli altri stati dell’area, verso le numerose minoranze al suo interno. La stesso entità territoriale curda che in questi giorni sta subendo l’attacco delle milizie jihadiste dell’ISIS, nel silenzio degli pseudo-pacifisti europei.

Francesco Moises Bassano

(22 agosto 2014)