Giro di vite sul terrorismo
Sarebbero circa 200 i reclutatori di jihadisti in Italia. Il loro compito: fare proseliti per gli estremismi islamici. Alla chiamata avrebbero finora risposto circa 50 connazionali, che si sono arruolati in Iraq e Siria. Nell’ottanta per cento dei casi si tratterebbe di convertiti. Sul Corriere della sera Virginia Piccolillo racconta questo mondo e i pericoli per la sicurezza nazionale che ne sono diretta conseguenza. “Nei rapporti riservati della nostra intelligence che li ha posti sotto controllo – scrive Piccolillo – i ‘foreign fighters’ sono la punta estrema di fanatismo in un fenomeno che non è coeso in un unico nucleo, ma frammentato. E che può contare su un gruppo più consistente di residenti in Italia che fungono da ‘ufficiali di collegamento’ tra il nostro territorio e il terrorismo islamico”. Il fenomeno è particolarmente inquietante nelle città del Nord: la maggior parte delle adesioni, si legge, avviene a Brescia, Torino, Padova e Bologna.
Nel frattempo il governo italiano si muove per inasprire le pene contro il terrorismo. Un disegno di legge, preparato dall’Ufficio legislativo del dicastero, è stato consegnato al ministero dell’Interno e a quello della Giustizia. Tra i punti al varo la punibilità di atti di terrorismo commessi anche ai danni di uno Stato estero e l’inasprimento delle pene detentive per chi finanzia i terroristi: da sette a quindici anni di carcere. Previsti invece sconti per i collaboratori: il dl, spiega Cristiana Mangani sul Messaggero, stabilisce che vengano diminuite fino alla metà le pene “nei confronti dell’imputato che si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella raccolta di elementi di prova decisivi per la ricostruzione dei fatti”.
Con le ultime drammatiche notizie dalla Libia l’allarme terrorismo si estende anche a pochi chilometri dalle coste italiane. Eppure, rileva Gad Lerner su Repubblica, la consapevolezza di tutto ciò sarebbe ancora scarsa. “Ci siamo dentro fino al collo – denuncia il giornalista – ma continuiamo a far finta di nulla perché ignoriamo perfino chi siano le milizie in campo e quale sia l’intento dei loro burattinai. L’enigma Libia è la propaggine ovest, per noi la più pericolosa perché limitrofa all’Europa, del conflitto che insanguina Iraq e Siria. Ma nonostante lambisca le coste italiane e rovesci i suoi cadaveri nel Canale di Sicilia, la guerra di Libia ci risulta ancor meno decifrabile dell’offensiva scatenata dal sedicente califfo Abu Bakr al Baghdadi. È mai possibile tutta questa ignoranza?”
Israele ha dato ieri l’ultimo saluto al piccolo Daniel Tragerman, ucciso dai razzi di Hamas in un kibbutz vicino alla Striscia di Gaza e oggi torna a svegliarsi con le sirene che risuonano fino a Tel Aviv. “Salvai il capo di Hamas, ora fermi la guerra”: è l’appello di Mishka Ben-David, ex agente operativo del Mossad a capo del commando inviato nel 1997 in Giordania per uccidere Khaled Meshaal. Fu lui infatti, dopo le minacce del re Hussein, a somministrare l’antidoto al futuro leader di Hamas. Altrimenti sarebbe morto in poche per gli effetti del veleno iniettatogli dagli agenti israeliani. Ben-David si dice oggi contrario alla politica degli omicidi mirati e, interpellato da Davide Frattini del Corriere dela sera, afferma: “È possibile trovare un intesa solo attraverso negoziati e concessioni”.
Un gruppo dello Special Air britannico è intanto partito alla volta dell’Iraq per dare la caccia agli assassini di James Foley mentre in Siria sono stati liberati un cronista statunitense e un attivista umanitario tedesco. Polemiche e smentite animano in queste ore il dibattito sul pagamento di riscatti per la loro liberazione (Federico Rampini, Repubblica).
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(25 agosto 2014)