Israele, attenzione al nord
Firmata la tregua con Hamas, Israele guarda con attenzione a quanto accade a Nord, ai confini con la Siria. Sul valico di Quneitra, sulle alture del Golan, sventolano da ieri le bandiere nere dei ribelli qaedisti che hanno strappato l’area al controllo del regime di Assad. “Per ora — ripetono i capi rivoltosi — lo Stato ebraico e il Golan (tolto ai siriani nel 1967 e annesso 14 anni dopo) non rappresentano un obiettivo”, scrive sul Corriere della Sera Davide Frattini, ma l’attenzione israeliana a quanto accade in Siria è alta. I colpi di mortaio caduti ieri sul territorio israeliano, con il ferimento di un ufficiale di Tsahal, sono sì partiti dalla Siria ma le stesse autorità israeliane hanno derubricato l’accaduto a “fuoco accidentale”, ovvero colpi vaganti dovuti all’infuriare della battaglia oltre confine. Tornando a sud, Repubblica riporta il compito affidato al generale israeliano Yoav Mordechai, al premier palestinese della Cisgiordania Rainy Harndallah e all’inviato olandese dell’Onu Robert Serry: “vigilare sulla tregua ‘permanente e duratura’ che ha posto fine a cinquanta giorni di guerra tra Israele e Gaza”. “Saranno loro a controllare che gli aiuti umanitari e i materiali per la ricostruzione in arrivo sulla Striscia ( via terra e via mare ) non vengano usati da Hamas per riarmarsi o per costruire nuovi tunnel”. Nello stesso articolo si sottolineano le difficoltà del premier israeliano Benjamin Netanyahu all’indomani della tregua, fortemente criticato sia da uomini del suo governo sia dai cittadini del Sud del paese per aver firmato il cessate il fuoco di un mese.
“Il risiko delle alleanze fra nemici”. Maurizio Molinari su La Stampa spiega la “nuova geografia del potere” in Medio Oriente con “tre coalizioni portatrici di altrettanti approcci all’Islam” a fronteggiarsi: “l’Iran guida l’alleanza sciita, a cui appartiene anche il regime di Assad in Siria; il Qatar è la potenza di riferimento dei gruppi sunniti favorevoli al fondamentalismo d’esportazione; Egitto e Arabia Saudita guidano i Paesi sunniti che si oppongono a Teheran e a Doha. La coalizione egiziano-saudita si batte in Iraq, Siria e Libia contro gli alleati di Teheran e di Doha, a loro volta in contrasto”. In questo quadro di scontri, Israele apre a nuove alleanze e punta a indebolire i suoi nemici storici, Iran e il jihadisti di Hamas. “Egitto, Arabia Saudita ed Emirati del Golfo (tranne il Qatar)”, riporta Molinari, sono i paesi con cui Gerusalemme sta consolidando i rapporti. Sul quadro Mediorientale interviene anche Alberto Negri sul Sole 24ore, soffermandosi sui rapporti tra Turchia e Israele. In un passaggio dell’articolo Negri scrive, “gli ebrei non sono una setta ma si stanno comportando come se lo fossero. Israele è uno stato democratico ma la sua è una democrazia selettiva, applicata a una parte della popolazione di cui ha in mano il destino. Non è con il tiro al bersaglio su Gaza che risolve la questione palestinese, così come non è armando gli arabi, come fanno Iran e Turchia, che si arriva a una soluzione”. La visione proposta appare tendenziosa e semplificata: il conflitto di Gaza non è stato un tiro al bersaglio ma un’operazione militare per fermare la minaccia di un movimento terroristico che ha come obiettivo la distruzione di Israele.
La passione sportiva, gli anni bui delle leggi razziali, la vita in clandestinità. Sulla Gazzetta dello Sport il racconto, a firma di Adam Smulevich, dell’amore calcistico e delle difficoltà del passato di un delle figure più apprezzate e rappresentative della Comunità ebraica di Roma: rav Vittorio Della Rocca, il Moré. Degli anni del fascismo, rav Della Rocca ricorda “È stata un’epoca durissima. Di quegli anni resta però il ricordo di una passione che non mi ha abbandonato. La Roma è sempre la Roma. E l’attesa per una rete la stessa. A otto anni come ad ottanta”.
Zara ritira la maglietta che ricorda gli indumenti che gli ebrei deportati erano costretti a indossare nei campi di concentramento nazisti. “Una stella gialla a sei punte stampata su una maglia a righe ha gettato nella bufera il marchio Zara – scrive il Messaggero – la catena d’abbigliamento spagnola che, con magazzini in mezzo mondo e migliaia di nuovi capi prodotti per stagione, fattura ogni anno miliardi di euro”. “A tuonare contro la t-shirt per bambino (da 3 mesi a 3 anni) – riporta il quotidiano – è stata l’associazione svizzera Cicad, che lotta contro l’antisemitismo: ‘È un ricordo del terribile pigiama a righe usato dai deportati. E semplicemente intollerabile’”.
La bellezza dello yiddish, il suo tragico destino e la possibilità di riscoprirne il valore. Sull’Osservatore Romano, Anna Foa presenta il libro Il Tempo del Messia e altri racconti (Edizioni di Storia e Letteratura) curato da Elissa Bemporad e da Margherita Pascucci, che raccoglie otto racconti di Itskhok Leybush Peretz (tradotti per la prima volta in italiano). Foa, attraverso la figura di Peretz, racconta il grande valore di una lingua, lo yiddish, un tempo usata da milioni di ebrei ma che oggi – dopo la Shoah – rischia di scomparire.
Daniel Reichel
(28 agosto 2014)