Periscopio – Moralità apparente

lucreziNon ho mai considerato l’identità ebraica di qualcuno come un elemento che implichi un dovere automatico di solidarietà verso lo Stato di Israele; essere ebrei, secondo me, non è né un merito, né un onere, né una responsabilità. So bene che ci sono alcuni ebrei – una minoranza, quantunque alquanto cospicua – che nutrono sentimenti non amichevoli, o peggio, verso lo Stato ebraico, e cerco di contestarne le ragioni indipendentemente dal fatto che a portarle avanti siano degli ebrei. Non faccio facile uso della controversa categoria del ‘Selbsthass’. Certo, quando sento spesso dire, dai molti detrattori di Israele, che “anche molti ebrei la pensano così”, sono costretto a prendere atto che l’effetto di questi attacchi ‘ebraici’ a Israele hanno un valore particolarmente velenoso e distruttivo, in quanto malevolmente usati, in buona o cattiva fede, per dare qualche pennellata di apparente moralità a ciò che, ai miei occhi, è invece profondamente immorale, per costruire un’artificiosa, falsa e truffaldina ‘prova del nove’ della legittimità, anzi, della doverosità dell’antisionismo. Ma tant’è. Credo che gli ebrei antisionisti siano perfettamente consapevoli di questo potenziamento delle loro critiche determinato dal loro dichiararsi ebrei, altrimenti non lo farebbero, non manifesterebbero la loro ebraicità. Ne prendo atto. Ognuno è libero di dire quello che vuole.
Suscita però un certo sconcerto leggere il duro appello, sottoscritto da ben 327 persone, “sopravvissute alla Shoah”, ripreso da vari mezzi di comunicazione internazionali, nel quale, fra l’altro, si legge: “Come ebrei sopravvissuti e discendenti di sopravvissuti e vittime del genocidio nazista, inequivocabilmente condanniamo il massacro di palestinesi a Gaza e l’attuale occupazione e colonizzazione della storica Palestina”. Un comunicato pubblicato, a pagamento, dopo che Elie Wiesel, in un precedente messaggio, aveva scritto le seguenti parole: “Nella mia vita ho visto bambini ebrei gettati nel fuoco e adesso vedo bambini usati come scudi umani, da fedeli al culto della morte non dissimili da coloro che venerano Moloch. Questa non è una battaglia di ebrei contro arabi o di Israele contro i palestinesi. È una battaglia tra coloro che celebrano la vita contro i campioni della morte. È la civilizzazione contro la barbarie”.
Mi interessa fino a un certo punto la verifica dei numeri e delle storie personali dei firmatari, apprendere che, come è stato rivelato, di loro i veri sopravvissuti sarebbero non più di una ventina. Se l’essere ebreo non è un titolo d’onore, non lo è neanche il ruolo di sopravvissuto. Nessuno ha il mandato di rappresentanza dei sei milioni di vittime. Ognuno è responsabile solo per quello che dice e fa. Diversi dei firmatari, è stato notato, hanno paragonato il sionismo al nazismo, hanno personalmente partecipato ad azioni aggressive e violente contro Israele, hanno intrattenuto e intrattengono diretti rapporti di collaborazione con terroristi attivi. Io li giudico per questo, e soltanto per questo, non per il loro essere ebrei, o sopravvissuti.
Il comunicato dei 327, comprensibilmente, ha suscitato forti reazione di critica e riprovazione. Ma non mi interessano i numeri, non voglio fare il conto di chi sta “di qua” e chi “di là”, non traccerei mai una linea di distinzione tra ebrei è ‘buoni’ e ‘cattivi’. È stato fatto tante volte, nella storia, e sono ricordi molto tristi. Per me, semplicemente, ci sono due modi di rapportarsi alle vittime: quello di chi dice: “ti hanno ucciso perché eri solo, inerme, indifeso, lo considero un crimine, e vorrei tanto che avessi avuto la possibilità di difenderti”; e quello di chi, invece, dice: “ti hanno ucciso, hanno fatto male a farlo, ma se ti fossi difeso saresti passato dalla parte del torto, perché tu mi piaci proprio per il fatto che sei solo, inerme, indifeso. Guai se cambi”.
Non ho mai parlato di “ebrei contro Israele”, e non, sia chiaro, perché il problema non esista, ma semplicemente perché mi sembra discutibile etichettare qualcuno in quanto ebreo o non ebreo. Così non voglio parlare di “sopravvissuti contro Israele”. Ci sono degli essere umani, semplicemente, che, a mio giudizio, non usano rispetto verso la memoria della Shoah. Un patrimonio che, da umile ‘goj’, credo che appartenga anche a me, e che credo di avere il diritto, come chiunque altro, di difendere.

Francesco Lucrezi, storico

(10 settembre 2014)