Ticketless – La cartella di Venturi
C’è tempo fino al 7 ottobre per visitare la bella mostra “La giovinezza di Franco Venturi. Fotografie e documento 1914-1952”. È stata organizzata dalla Fondazione Luigi Einaudi di Torino e il catalogo può essere scaricato dalla rete (clicca qui).
Cade il centenario della nascita del grande storico, ma i giornali ne hanno parlato poco. E’ annunciata una biografia di Adriano Viarengo, in uscita da Carocci entro la fine dell’anno. Quando frequentavo l’Università e poi la Fondazione Einaudi, dove Venturi aveva uno studio, colpivano due cose anche se non eri un suo allievo: gli occhi e la cartella. Gli occhi, nonostante l’età, erano rimasti quelli di Pantera. Occhi di Pantera era il nome di battaglia durante la Resistenza. Venturi aveva fama di essere severissimo e quegli occhi venivano chiamati a testimonianza del suo rigore. Sbagliava chi pensava che incutessero soggezione, come confermano tra l’altro le bellissime fotografie che si possono osservare in mostra. Una dolce pantera rivediamo in cima al Dente del Gigante con una guida alpina, al confino ad Avigliano, al suo tavolo di lavoro. Sono immagini che commuovono. La generazione degli storici nati negli anni di Venturi ha lasciato un grande vuoto dietro di sé. Non solo a Torino, dove qualche mese fa è mancato Enrico Castelnuovo. La seconda cosa che ti colpiva era la cartella, un vero documento di storia. Da quella cartella uscivano edizioni preziose, manoscritti, lettere, appunti di lavoro. Una cartella sottile. Oggi è consuetudine vedere in aula il professore che in un trolley porta a spasso molti libri, ma senza idee.
Non è il caso di ripetere qui le nobili parole in difesa degli ebrei che l’uomo dagli occhi di pantera tirò fuori dalla sua cartella nel 1938-1939. Una cinquantina di righe memorabili pubblicate in esilio. Una delle poche reazioni che si lessero in quei mesi. Ne ho parlato tante volte e le ho diffuse come meglio potevo. Per i lettori di Ticketless, da uno dei documenti esposti ho invece copiato una frase di una lettera che nel 1932 Venturi scrisse al padre, Lionello, il grande storico dell’arte, ormai in America dopo aver rifiutato il giuramento imposto dal fascismo ai professori universitari. Anche il figlio era sulla strada dell’esilio; dopo essere stato incarcerato alle Nuove, lascia Torino e da Mentone manda notizie al padre: “Non so se ti hanno detto che mi hanno sequestrato parecchi libri e che me li hanno bruciati come purificazione della mia camera. Intanto la Décadence de la liberté [di Daniel Halévy] è stata presa e con la giustificazione che la libertà non è in decadenza me l’hanno buttata nel fuoco”.
Alberto Cavaglion
(10 settembre 2014)