Ai confini di Gaza

Michela di nolaLa situazione in Israele, dopo la tregua del 26 agosto, sembra essersi momentaneamente stabilizzata. Eppure il ricordo della guerra resta ancora vivo nella mente della popolazione civile. Specie nel Sud del paese, la vita degli israeliani è stata scossa profondamente dal recente conflitto.
Nelle scorse settimane ho partecipato al “Gaza border tour” organizzato da Media Central, la ONG dove svolgevo un tirocinio, che si occupa di dare supporto ai media, programmando e gestendo visite nei luoghi più colpiti dalla guerra.  Sderot, Sud di Israele: su una collina poco al di fuori della città si può vedere da lontano la Striscia di Gaza. 
Molti giornalisti e fotografi si appostavano nella zona per riportare le ultime notizie sulla guerra in atto. A pochi chilometri, era in corso l’operazione “Protective Edge”. Dopo i continui attacchi missilistici da parte di Hamas diretti a colpire numerose città israeliane, le forze armate (Tsahal) sono passate all’azione e, una volta entrati a Gaza, hanno cercato di ‘stanare’ i rifugi di Hamas, cercando di recare il minor danno possibile alla popolazione civile. 
Durante il tour ho avuto l’occasione di incontrare il ministro dell’Economia israeliano Naftali Bennett che ha indetto una breve conferenza stampa proprio a Sderot. Quando i giornalisti, provenienti da svariate testate (americane, inglesi, giapponesi…), hanno chiesto a Bennett di commentare l’operazione, queste sono state le sue parole: “We are now moving from Iron Dome to iron fist”. Con un gioco di parole, il ministro ha dichiarato che il governo israeliano ha ritenuto necessario reagire con la forza agli attacchi di un’organizzazione terroristica come Hamas in quanto una mediazione pacifica, purtroppo, non è stata possibile.
Bennett ha affermato che Gaza aveva l’opportunità di diventare la Singapore del Medioriente e spiegato come Hamas abbia utilizzato il denaro proveniente dalle istituzioni europee e internazionali per costruire tunnel, armi, strumenti di guerra. Invece di aiutare i palestinesi a costruire infrastrutture, scuole ed ospedali, Hamas ha destinato tutte le risorse per la guerra. “È stato il popolo palestinese ad eleggere Hamas- continua il ministro- e Israele si sta solo difendendo”. Mentre Bennett veniva intervistato dalla stampa straniera, in sottofondo si sentivano chiaramente i boati delle esplosioni che avvenivano a poca distanza da noi: un’atmosfera alquanto surreale.
Seguendo la stessa linea di pensiero, l’ex consigliere per la Sicurezza Nazionale, Uzi Dayan, ha dichiarato l’assoluta necessità di demilitarizzare Gaza. Il tour è continuato con la visita al centro ricreativo di Sderot, una struttura costruita per permettere ai bambini di continuare a condurre una vita normale, per far sì che la guerra non li privi della loro infanzia. All’interno del centro, bambini e ragazzi possono giocare con videogiochi, a palla e i rifugi sono molto grandi. Il vice sindaco Mark Ifraimov ha raccontato che a Sderot vivono 50 famiglie arabe e che i loro bambini sono stati invitati a giocare al centro per cercare di alimentare un’atmosfera pacifica tra le due comunità, araba ed ebraica. Il vice sindaco, inoltre, ha dichiarato che al suono della sirena i bambini hanno 15 secondi per arrivare nei rifugi ma che sono talmente abituati a questa realtà che ne impiegano anche 10. Ha sottolineato come a Gaza i bambini siano educati a odiare gli ebrei e a usare le armi mentre a Sderot si cerca di trasmettere un modello diverso, di educare i ragazzi alla coesistenza pacifica.
L’ultima tappa del tour ha previsto la visita al Kibbutz Allumim, a soli 3 chilometri da Gaza. Il portavoce, Esther Marcus, ricorda come fino a pochi anni fa si poteva andare tranquillamente a Gaza e come suo marito ci andasse spesso. Oggi tutto ciò non è più possibile. I ragazzi del Kibbutz hanno subito diversi traumi a causa della guerra e molti cominciano a comportarsi come se fossero più piccoli, non sono più in grado di prendere decisioni.
Durante la visita al Kibbutz, abbiamo avuto l’opportunità di parlare con alcuni dei ragazzi. Ciò che ha detto Idan, una ragazzina di appena 13 anni mi ha colpito particolarmente. Idan, infatti, preferisce che i missili cadano vicino ad Allumim piuttosto che in altre città più a Nord, dove non ci sono rifugi e i ragazzi non sono abituati all’allarme. Un’affermazione alquanto coraggiosa se si pensa che a pronunciarla sia stata una ragazza di quell’età!
Ora che la situazione sembra essersi calmata, la speranza è che si riesca a raggiungere un accordo duraturo in modo tale che la popolazione civile israeliana ma anche palestinese non debba più subire simili traumi.
Nel frattempo, conoscere la realtà delle persone che hanno vissuto quotidianamente questa guerra e documentarla credo che sia di massima importanza affinché il mondo intero possa capire ciò che è avvenuto in Israele e non solo nella Striscia di Gaza.

Michela Di Nola

(12 settembre 2014)