Qui Milano – Bensoussan a Jewish and the city Ebraismo e Mediterraneo
La Sala Napoleonica del settecentesco Palazzo Greppi si è rivelata troppo piccola per il pubblico accorso questa mattina a Milano alla lectio magistralis di Georges Bensoussan, storico, studioso della Shoah, e responsabile editoriale del Memoriale della Shoah di Parigi. Nella giornata conclusiva della seconda edizione del festival internazionale di cultura ebraica Jewish and the City è stato così uno dei più importanti studiosi di storia e pensiero ebraico contemporaneo a inaugurare il ciclo di incontri dedicato al tema della narrazione e della memoria ospitato dall’Università degli Studi di Milano, che nello splendido palazzo ha una sede congressuale. E la narrazione storica, che include anche grandi mistificazioni e miti difficili da sradicare, è stata al centro dell’intervento di Bensoussan, che per l’occasione è stato accompagnato da introdotto da Mino Chamla, studioso e docente di filosofia presso la scuola ebraica di Milano. Dopo un saluto di Daniele Cohen, vicepresidente della Comunità ebraica di Milano di cui è anche assessore alla cultura, Germano Maifreda, professore di Storia economica e sociale dell’era moderna ha sottolineato come per l’Università di Milano sia un onore e un piacere collaborare così strettamente con il festival e con la comunità per aprire le porte alla cultura, al dialogo e a occasioni di incontro e di confronto. Guido Vitale, giornalista, coordinatore dei dipartimenti Cultura e Informazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e direttore di Pagine Ebraiche, chiamato a moderare l’incontro, ha presentato i relatori ringraziando Besoussan per aver portato all’attenzione del mondo, conforza, tre diverse idee. Per aver ricordato con tutto il suo lavoro che la memoria ha senso solo come materia viva, coltivata ogni giorno, e che la storia della Shoah non è la storia di un razzismo uguale a un altro. Per aver messo all’ordine del giorno lo studio serio e sincero del sionismo, e aver ricordato a tutti che lo stato di Israele non è nato con la Shoah. E per la sua attenzione, scientifica e documentata, alla storia del Mediterraneo.
Georges Bensoussan dopo i numerosi saggi sulla memoria della Shoah, sull’antisemitismo, sul sionismo e su Israele, ha pubblicato nel 2012 “Juifs en pays arabes. Le grand déracinement 1850-1975” (Ebrei nei paesi arabi. Il grande sradicamento 1850-1975, edizione originale per Tallandier) in cui ha ricostruito come nell’arco di 25 anni le antiche comunità ebraiche del mondo arabo siano sparite. In un solo caso, in Egitto, si è trattato di un’espulsione, a riprova che il fatto che i rapporti fra ebrei e mondo arabo fossero idilliaci è un mito. Una costruzione che si è stratificata negli anni, ripresa in vari modi, a partire dalla sua nascita, ha portato a credere all’esistenza di un’epoca dorata. Che non è mai esistita. Le ricerche portate avanti negli ultimi anni da Bensoussan hanno portato, al contrario, a trovare numerose tracce di un sentimento antisemita diffuso e pervasivo, che però non è mai stato riconosciuto dagli storici e dagli intellettuali occidentali. Si è arrivati così alla sparizione di un mondo segnato da una secolare condizione di inferiorità umiliante, con condizioni di vita sempre più precarie, un capitolo di storia ancora poco trattato e di cui non si conosce quasi nulla.
Eppure si tratta di vicende che hanno molto da insegnarci, e che possono aiutare a leggere il contesto dell’antisemitismo contemporaneo in molti paesi occidentali – tra cui la Francia – in cui proprio quel passato sembra incidere con tutta la sua forza.
Il rifiuto di vedere quello che è successo si trasforma in una capacità di interpretare la realtà, in una condizione quasi patologica che dimostra quanto sia grande il disagio di una grande fetta di studiosi e di intellettuali europei.
Una affascinante analisi del concetto di libertà e del suo significato, e la mitizzazione di un passato a cui si è legati per questioni prevalentemente affettive hanno portato invece il professor Mino Chamla a raccontare alcuni episodi della sua vita familiare, e ripercorrere così un percorso di integrazione e consapevolezza, un esempio, come lo ha definito, di famiglia “levantino-brianzola”.
L’idea dell’impossibilità, o della non volontà di vedere è stata poi ripresa dallo scrittore e psicanalista Daniel Sibony, ospite di Jewish and the City e presente in sala. Forte anche della sua approfondita conoscenza del Corano, che ha studiato in arabo – entrambi gli studiosi francese sono ebrei marocchini, mentre Chamla è di origine egiziana – ha proposto una visione molto pessimista, riprendendo le parole usate da Bensoussan per descrivere la vita degli ebrei nel mondo arabo: umiliazione, e paura.
“Bisogna liberarsi dell’idea che chi è dominato, colonizzato, sia necessariamente buono, o dalla parte della ragione – ha concluso Bensoussan – e se non impariamo a utilizzare le parole corrette per descrivere situazioni complesse saremo condannati a ripetere gli stessi errori”.
Invitato ieri dalla Comunità di Trieste, Bensoussan ha poi tracciato con grande chiarezza il quadro descrittivo del percorso che, nel corso dei secoli, ha portato il mondo occidentale a passare dall’antigiudaismo all’antisemitismo per arrivare nel ventesimo secolo all’abisso della Shoah. Accompagnato da Rossella Paschi che l’ha tradotto passo passo dal francese, ha permesso di comprendere, ai numerosi presenti all’Antico Caffè San Marco, sede della conferenza, la necessità di superare i semplicismi che mostrano quegli orrori come un incidente della Storia e non come una sua inevitabile evoluzione, passata attraverso l’elemento biologico della spagnola “limpieza de sangre” e alimentata dalle paure e dalle angosce che la rivoluzione industriale aveva portato con sé come ogni cambiamento radicale, per essere placata dalla creazione di un capro espiatorio, trovato facilmente a seguito dell’emancipazione degli ebrei e alla loro conseguente assimilazione. La paradossale attribuzione a un intero popolo delle caratteristiche di alcuni suoi appartenenti, brillanti e di successo grazie alle capacità individuali, nel momento stesso in cui essi se ne allontanavano non veniva percepito come un’assurdità, anzi: più se ne dimostrava l’inconsistenza, più lo si alimentava.
Già questo argomento sarebbe bastato per soddisfare l’uditorio; Bensoussan ha voluto invece aggiungere una lucidissima analisi di quanto sta accadendo in Francia, dove gli episodi di antisemitismo violento di questi ultimi mesi sono stati spiegati grazie ad un approccio che lega assieme la prospettiva demografica a quelle di stampo sociologico e storico: gli autori delle violenze a Parigi, a Tolosa, a Bruxelles, ma anche in altre città soprattutto francesi sono per la stragrande maggioranza appartenenti alla terza generazione di immigrati dai territori magrebini, che come già descritto da molti studi, non cercano di integrarsi come i propri genitori nella società che in cui sono nati, ma vanno alla ricerca delle radici conservate con nostalgia dai nonni. Ecco allora che si cherisce non soltanto la spinta antisemita facilmente legata all’antisionismo di bandiera e con esso confusa, ma anche l’integralismo islamista contro le donne, colpevoli di un’emancipazione rifiutata con violenza da maschi socialmente non integrati. Ecco che allora l’aumento di atteggiamenti estremisti nutriti dai pregiudizi più facili determina la scelta di molte famiglie ebree di emigrare verso Israele, o verso paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda.
Non si può cercare di spiegare con le categorie tipiche del mondo occidentale i comportamenti di una cultura e di una società tanto diversa come quella araba, entrata in crisi profonda di fronte ai cambiamenti epocali che si trova a fronteggiare e dalla quale cerca di uscire, come troppo spesso accade, con violenza ricercando, una volta di più, un facile bersaglio esterno a sé per non doversi guardare dentro. È un importante spunto, necessario per riuscire a modificare una visione deformante e non utile a risolvere la situazione lacerante che stiamo tutti vivendo.
Ada Treves e Paola Pini
(L’immagine in basso è di Federico Valente)
(16 settembre 2014)