Qui Milano – Jewish and the City
I musei come storia visibile
Un incontro molto atteso quello di ieri, intitolato “Spazi di memoria. Musei come storia visibile”, inserito nell’ultima giornata milanese del Festival internazionale di cultura ebraica Jewish and the city, dedicata in gran parte alla Storia e alla sua trasmissione. “I relatori di questo pomeriggio hanno le caratteristiche più adatte per parlare del museo come luogo di esposizione della storia”, questa l’introduzione della moderatrice Maria Canella, professoressa all’Università degli Studi di Milano, nella cui suggestiva Sala Napoleonica si è svolto l’incontro. A prendere la parola per primo Luca Zevi, consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, architetto e progettista del Museo della Shoah di Villa Torlonia a Roma, coinvolto in un grande dibattito proprio in questi giorni, che ne mette in discussione la costruzione in favore di una più rapida realizzazione del museo in zona Eur, nei locali che ospitano anche un centro commerciale di lusso in fase di dismissione. Dopo aver dunque spiegato al pubblico le vicende che l’hanno interessato, Zevi ha illustrato i dettagli del progetto di Villa Torlonia, concepito per adattare anche l’architettura alla trasmissione della memoria della Shoah. “Non ci sono modi neutrali per quanto riguarda la Memoria, ma destinati a trasmettere un tipo di Memoria o un altro “ – ha affermato citando il pensiero del filosofo Walter Benjamin. “L’architettura è un veicolo molto importante di questi messaggi”. Ha infine concluso esprimendo l’importanza anche della precisa scelta della sua collocazione: avere un Museo nazionale della Shoah proprio a Villa Torlonia, che fu residenza di Benito Mussolini per quasi vent’anni e costituisce il più importante luogo di riflessione sulla memoria dello sterminio in Italia, “significa riconfermare visivamente con l’architettura il mito degli italiani brava gente”, ha sottolineato Zevi. Seguito dall’intervento di Pellegrino Bonaretti, docente del Politecnico di Milano, che ha indagato le radici storiche dell’incremento nella costruzione di musei che ha interessato gli ultimi 35 anni: “La Memoria trova rifugio nel museo, che insieme al corpo sociale diventa il suo spazio”. E sulle strategie culturali della memoria nel territorio ha continuato Daniele Jalla, presidente dell’International Council of Museums – Italia: “Un museo di Storia deve rendere contemporaneo ciò che è stato, è un racconto che traduce la Storia nel linguaggio di colui a cui la racconta, cioè il visitatore, – ha spiegato. Si tratta dunque di un’opera che si deve estendere al territorio rompendo la chiusura tipica del museo, costituendo un centro di interpretazioni che rinviano a quello che sta all’esterno, ovvero la vita del visitatore”, rendendolo così un attore attivo e costituendo un punto d’incontro tra la memoria individuale con quella collettiva. Per questa esigenza di rivolgersi a un pubblico sempre contemporaneo, serve “un museo del fare più che dell’essere”, non limitato dunque solo all’esposizione o alla conservazione di oggetti, ha concluso Jalla. Seguito da Alessandro Cambi, progettista architettonico del Museo dell’Ebraismo Italiano e della Shoah (MEIS), i lavori per la cui realizzazione sono stati ufficialmente avviati domenica a Ferrara. “Il MEIS non è un museo pensato solo come contenitore, ma come l’antico Museo di Alessandria d’Egitto”, un centro cioè di incontri, di studio, di letteratura, di filosofia e di arte, al fine di far conoscere il pensiero, la cultura e la storia dell’ebraismo. Cambi ha dunque esposto il progetto che trasformerà ben presto i locali dell’ex carcere di via Piangipane nel MEIS. “La Shoah è un argomento difficilmente museificabile”, così ha aperto invece il suo intervento Guido Morpurgo, architetto progettista del Memoriale della Shoah di Milano, specificando la natura del memoriale come luogo di commemorazione. Il Memoriale ha sede nella zona della stazione centrale originariamente adibita al carico e scarico della posta e delle merci e da cui sono partiti convogli per i campi di sterminio e di concentramento. “Uno spazio dunque enorme e dotato di una sua logica tecnica, da rendere fruibile per il pubblico, ma anche che parla da solo, senza bisogno di attribuirgli un valore simbolico o una spettacolarizzazione”, ha evidenziato. A concludere l’incontro il vicepresidente della Fondazione Memoriale della Shoah e vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach: “L’esempio di Roma è importante, dimostra come un cambio di amministrazione può voler dire un cambio totale di atteggiamento nei confronti di un progetto”, ha sottolineato nel raccontare del suo impegno per la realizzazione del Memoriale. “I musei ebraici della Shoah – ha concluso Jarach – sono modi in cui gli ebrei mettono i propri valori a disposizione della città e danno un contributo per il suo sviluppo”.
Francesca Matalon twitter @FMatalon
(17 settembre 2014)