Qui Milano – Jewish and the city
I perché di Pesach

SONY DSC“Il Seder di Pesach è occasione per vivere i rapporti umani in modo molto diverso, contrapponendo nostre diversità, domandando e insegnando ai nostri figli che saggezza è sapere di non sapere, consapevolezza nostra limitatezza”. È stata l’applaudita lezione di rav Roberto Della Rocca a chiudere la seconda edizione del festival Jewish and the city di Milano. Al direttore scientifico della rassegna, organizzata dalla Comunità ebraica milanese, è stato infatti affidato il compito di chiudere, prima del concerto serale, la quattro giorni di appuntamenti e incontri del Festival internazionale di cultura ebraica dedicato quest’anno a Pesach e alla libertà. Il sentito applauso al termine della lezione del rav – È vecchio chi smette di imparare, il titolo dell’incontro tenutosi alla sinagoga di via Guastalla -, è il simbolo di come, per il secondo anno consecutivo, il festival sia stato un successo, portando centinaia di milanesi a fare un passo in più per conoscere la cultura ebraica. Una tradizione millenaria, come ha ricordato il rav, che del suo passato ha sempre fatto tesoro. Un percorso, quello ebraico, che si snoda attraverso i secoli ed è privo di scorciatoie, come lo fu l’uscita dall’Egitto. “Non sempre la via più breve è infatti la migliore”, ha sottolineato Della Rocca, direttore del Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Nella sua riflessione, davanti a un pubblico numeroso e partecipe, il rav ha fatto riferimento alla storia dell’uscita dall’Egitto, di Pesach, per articolare alcuni dei concetti fondamentali dell’ebraismo.
Come il porsi sempre domande autentiche, come fa il saggio nel corso del Seder: “il saggio si pone in posizione umilmente dubitativa, non parte da posizioni preconcette, non fa domande retoriche o che spingano l’interlocutore a dare una risposta preordinata”, ha spiegato il rav. “Ma nishtana halayla hazeh mikol haleylot”, da cosa è diversa questa sera da tutte le altre, è la domanda di Pesach, che ogni anno ci si pone e che indica il legame ebraico con il suo passato.
Fuggendo dall’Egitto, ricordava il rav in sinagoga, il popolo ebraico è poi rimasto 40 anni nel deserto prima di arrivare in Eretz Israel. “Nella parola ebraica “medaber” ci sono le stesse consonanti di “midbar” (deserto), – ha spiegato al pubblico Della Rocca – e medaber significa colui che parla: solo nel deserto possiamo ascoltare Hashem”. Il perché E ha continuato il rav “nella parola “midbar” c’è dentro la parola “davar”: solo se facciamo di noi stessi un po’ di deserto cioè facciamo un po’ di silenzio in noi stessi in un mondo di sovrabbondanza di parole e di ideologie possiamo fare qualcosa”. Dobbiamo toglierci le sovrastrutture, dichiara il rav, sottolineando la modernità del messaggio di Pesach, per essere realmente liberi. “Altrimenti tanto valeva rimanere in Egitto”.
d.r

(17 settembre 2014)