Vittorio Dan Segre (1922-2014)
“Ricordatemi vivo, se siete capaci”

Vittorio Dan Segre - Torino 1945 riapertura sinagoga“Accettabile, anche se discutibile, la partecipazione pubblica e cartacea al ‘grande dolore’, alla inconsolabile perdita del defunto o della defunta (di personaggi femminili da compiangere pubblicamente e a pagamento sembra che ve ne siano meno ) trasformata in moda quella di defunti che spesso non si è mai conosciuti (o poco apprezzati). È un modo di farsi notare, un processo pubblicitario – anche se inconscio – dettato da un’industria mortuaria che un tempo si accontentava del funerale e dell’annuncio affisso sulla porta di casa o della chiesa. Ma perché sentiamo questo grande bisogno di cancellare la morte?”.
L’ultima frecciata ironica suona come una messa in guardia: quando sarà il momento, non celebratemi. Ricordatemi da vivo, se ne siete capaci.
D’accordo, professore, restiamo fuori dal coro. Niente rituali, niente discorsi di comodo, niente coccodrilli. Le tue pagine, soprattutto quelle di “Storia di un ebreo fortunato” e di questo recentissimo, fresco d’inchiostro “Storia dell’ebreo che voleva essere eroe” parlano da sole. Non hai certo bisogno di essere messo su un piedistallo.
Eri da tempo ammalato, ma l’ultimo appuntamento con la vita è rimasto relegato a lungo in sala d’attesa. Avevi promesso che avremmo festeggiato assieme l’uscita del tuo ultimo libro, che Bollati Boringhieri ha reso disponibile proprio sul limite di Rosh Hashana, e così è stato, sapevo che come tutti i grandi cavalieri del Piemonte saresti stato di parola. Questo ultimo libro, affascinante, travolgente, irritante e commovente così come è la vita vera, è ora affidato ai lettori. Ci resta da rimettere in ordine il riaffiorare di ricordi e sentimenti.
L’incontro trent’anni fa per la presentazione della tua folgorante Storia di un ebreo fortunato proprio a pochi passi dalla riva triestina dove eri stato adolescente felice e da dove ti eri imbarcato sedicenne nel 1938 per andare a costruire lo Stato di Israele.
La corsa verso Malpensa prima del sorgere del sole dopo una nottata al lavoro, solo per poter rivedere assieme le prime bozze del numero zero del giornale dell’ebraismo italiano Pagine Ebraiche. Maneggiare in mezzo agli altri passeggeri sbalorditi quei grandi fogli lungo il lento incedere della fila in attesa del controllo di sicurezza riservato a chi vuole salire a Gerusalemme.
Le serate vicino al fuoco acceso a parlare di politica, di ebraismo e di Israele. Le tue messe in guardia nei confronti dei potenti che alimentano nell’ombra una macchina infernale che dal web e dai social network proclama di voler difendere le ragioni dello Stato ebraico e finisce in realtà per indebolire con il veleno della propaganda e del settarismo la solo arma segreta su Israele può contare: l’intelligenza, la cultura, la capacità di rimettersi continuamente in gioco attraverso l’autocritica, la creatività.
L’incitazione a non cedere mai alle intimidazioni e alle minacce, soprattutto se dettate da brame di potere o da gelosie professionali. L’invito ovvio solo in apparenza a fare a meno della compagnia degli imbecilli e dei prepotenti.
Il gusto per l’infinito, l’emozione di stare accanto ai grandi maestri delle spiritualità, dal Dalai Lama al rav Adin Steinsaltz. E il gusto per la vita terrena e per la bellezza.
E quella volta che aprendo le imposte della tua casa di campagna l’hai lasciata inondare di tutta la luce del Roero e stendendo lo sguardo lungo le vigne e la valle hai pronunciato solo il titolo della tua prima autobiografia: “Storia di un ebreo fortunato”.
Il tuo amore per la carta stampata di primo mattino e a tarda sera e la lezione della tua amicizia con Indro Montanelli e con tanti altri colleghi.
La tua immancabile telefonata, di cui dovrò probabilmente imparare a fare a meno, quando il postino di Gerusalemme o quello di Govone ti portavano l’ultimo numero di Pagine Ebraiche, per commentare assieme, fra molte stroncature e qualche lode, pagina su pagina quanto mandato in stampa.
E quel biglietto che mi hai fatto avere quando la rotativa ha cominciato a far girare la stampa del primo numero di Pagine Ebraiche e che segna la tua percezione di un segno di speranza, di un’inversione di tendenza nel decadimento dell’ebraismo italiano: “Congratulazioni, avete rimesso in piedi un cadavere”.
Non so, professore, se avresti davvero amato essere un eroe. Ma certo, in sella ai cavalli focosi che hai sempre amato, hai chiuso la partita con un ultimo nobile balzo verso i prati di luce e di silenzio dove riposano in eterno i grandi ebrei italiani.
Che la tua lezione e il tuo perenne ricordo siano per noi di benedizione.

gv

(Nell’immagine, Vittorio Dan Segre con la divisa dell’esercito britannico nella Torino appena liberata partecipa alla riapertura della sinagoga gravemente danneggiata dai bombardamenti).

(28 settembre 2014)