Kippur…

Il mio maestro, Rav Shlomo Riskin HaCohen shlita, un giorno mi ha raccontato un aneddoto sulla fanciullezza del suo maestro, Rav Yosef Baer Solovietchik zzl.
“Mentre da bambino stava andando in sinagoga per il Kol Nidrè, lo scioglimento dei voti con il quale si apre la funzione dello Yom Kippur, Rav Moshe Solovietchik, padre del Rav Yosef Baer gli disse: “Guarda figlio mio, guarda quel sole che inizia a tramontare, quello è il sole che fa entrare lo Yom Kippur, il giorno più sacro e più gioioso per il popolo ebraico, il giorno in cui nostro Padre ci perdona e ci accoglie di nuovo tra le sue braccia”. Non esiste gioia più grande e non esiste dono più grande del perdono e dell’abbraccio dopo il perdono. Forse questa è una dimensione del Kippur che andrebbe recuperata, diffusa, insegnata di nuovo di generazione in generazione. Perché di nuovo? Perché come ci ricorda il Talmud in Taanit 26b: “Non esistevano in Israele giorni gioiosi come Tu BeAv e Yom Kippur. In quei giorni le figlie di Gerusalemme erano solite uscire vestite con abiti presi in prestito per non imbarazzare ognuna l’altra…e danzavano nelle vigne dicendo: ‘Giovane uomo alza il tuo sguardo e vedi cosa scegli per te, non porre i tuoi occhi sulla bellezza, ma guarda la famiglia, come è detto: Menzognera è la vanità, la bellezza è vana, ma la donna che teme Iddio, sarà lodata. (Proverbi 31)”.
Un Kippur di danze e fidanzamenti, un Kippur di giustizia sociale e di vestiti presi in prestito in nome della solidarietà. Un Kippur di gioia. E se ripartissimo da questa gioia? E se come insegna il grande talmudista Rav Adin Steinsaltz ci augurassimo di Yom Kippur: “Chag Sameach, Felice festa?” Perché un popolo che sa che il proprio Padre ha aperto le porte di casa e lo aspetta a braccia aperta è un popolo che deve festeggiare. E come insegna Maimonide (Shvitat HaAsor 1, 12) le regole sul Kippur, l’astensione dal cibo, dalle bevande e da tutti gli aspetti più quotidiani della materia, non sono proibizioni ma sono distanze che ci elevano e ci permettono di ricreare noi stessi e rinascere. E quale gioia più grande, se non quella di un nuovo e puro inizio?

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino

(3 ottobre 2014)