Qui Roma – Simha Rotem, l’eroe di Varsavia
“Sono fortunato ad assere sopravvissuto perché così ho aiutato gli altri a salvarsi”, racconta Simha Rotem, eroe della rivolta del ghetto di Varsavia, agli studenti che lo hanno incontrato nel Tempio Maggiore di Roma prima dell’annuale viaggio al campo di concentramento di Auschwitz. Simha, nome di guerra Kazik, ha 91 anni (“Ne avevo 19 al tempo della rivolta”), non è una di quelle persone delle quali ci si chiede come abbiano potuto essere così forti: ha la tempra dell’eroe, la faccia di chi si offre volontario quando c’è da spostare una montagna, i valori morali saldamente difesi dalle brutture del mondo. “Ragazzi, vi trovate di fronte alla storia e vi assicuro che questo non capita spesso” ha spiegato lo storico Marcello Pezzetti. “Prima ero un ragazzo esattamente come voi, me ne andavo in giro. Finché non mi hanno rinchiuso dentro al ghetto. E proprio lì una volta ho sentito piangere un bambino, avrà avuto pochi mesi. Era in braccio alla madre morta. Non potevo portarlo con me, non potevo avvicinarmi. Quel pianto è stato il mio rimpianto più grande, l’incubo con il quale convivo da 70 anni”. Racconta della rivolta: “Mentre eravamo sui tetti del ghetto pronti a combattere, non pensavamo a salvarci. Oramai la vita non aveva più alcun valore. Pensavamo a difendere la libertà per un’ultima volta”. Poi continua: “Quando penso alla situazione attuale, alla crudeltà dell’Isis, mi chiedo se il mondo ha imparato qualcosa dal suo passato”. Dopo la guerra Simha Rotem ha lasciato la Polonia e si è trasferito nella futura Israele: “All’inizio durante la notte mi lamentavo nel sonno, ma nessuno me lo ha fatto pesare. Avevo bisogno di lavorare, di fare qualcosa di fisico. In Israele sono diventato il medico di me stesso”. L’eroe di Varsavia parteciperà oggi alle 17 nella Sala Pietro da Cortona dei Musei Capitolini alla presentazione del suo libro “Il passato che è in me” (Belforte editori, curato da Anna Rolli e con postfazione di David Meghnagi). Negli scorsi giorni l’autore era stato al centro di un caso editoriale per la pubblicazione, in contemporanea, di del diario “La Shoah in me” con Sandro Teti Editore (prefazione di Gad Lerner).
Al Tempio Maggiore sono intervenuti anche i sopravvissuti alla Shoah Piero Terracina, Alberto Mieli, Enzo Camerino e Sami Modiano che hanno ripercorso le loro vicissitudini, senza nascondere il dolore. Ad introdurli Elvira Di Cave assessore alla Memoria che sottolinea l’importanza dei viaggi fatti dagli studenti ad Auschwitz e negli altri campi di sterminio. “Quando il preside mi disse che dovevo lasciare la scuola – spiega Piero Terracina – improvvisamente tutti i miei amici e compagni di classe sparirono. Fui costretto ad andare a scuola ebraica e lì incontrai gli amici che avrebbero segnato la mia vita. Quando tornai dall’inferno, della famiglia di otto componenti ero rimasto solo io, i miei amici mi hanno salvato; senza chiedermi nulla, rispettando il mio silenzio”. Aggiunge Sami Modiano: “Mi strapparono dai banchi di scuola in terza media. Lì si è fermata la mia cultura, la mia istruzione. Il resto è esperienza. Quello che voglio spiegare agli studenti, ai ragazzi, è che non possiamo permettere che questo avvenga nuovamente. Noi sopravvissuti non vivremo per sempre per ricordare. Qualche giorno fa abbiamo salutato per l’ultima volta il nostro compagno Mario Limentani”. “La cosa più preziosa del viaggio che farete ad Auschwitz – parla il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici – è che potrete confrontarvi con l’esperienza diretta di chi ha visto con i propri occhi e ha i segni sulla propria pelle della furia nazista”.
Rachel Silvera twitter @rsilveramoked
(7 ottobre 2014)