…conflitto

Se un palestinese investe e ferisce con un’automobile i passeggeri in attesa a una fermata del tram e uccide una bambina a Gerusalemme, che cosa si deve fare? L’incidente è avvenuto in una via che fino al 1967 non faceva parte di Gerusalemme Ovest, nello stesso giorno in cui vengono uccisi in un attentato diversi soldati in Egitto, e dal confine egiziano parte una sparatoria verso Israele. Dunque: sgomberare immediatamente i territori occupati? Condannare l’inutilità delle guerre? Instaurare il coprifuoco nei quartieri di Gerusalemme Est da cui proveniva l’investitore? Dedicare una piazzetta al nome della piccola vittima? Distinguere fra Islam moderato e Islam estremista? Sollecitare nuove trattative di pace? Potremmo continuare con questa lista fra il cinico e lo scettico. A noi sembra evidente che vi sia una frattura grave fra la natura del conflitto e la natura del discorso sul conflitto. Non è pensabile, come ha suggerito Sergio Romano in un contesto un poco diverso, pensare che “vinceremo [contro ISIS] quando gli jihadisti saranno stanchi di morire per un obiettivo irraggiungibile”. I tempi potrebbero essere molto lunghi. È necessario invece interrogarsi sulla natura della società civile che si vuole instaurare al termine del conflitto, non solo in Medio Oriente ma anche in Occidente. Ed è necessario che le persone oneste prendano inequivocabilmente posizione contro gli atti di terrorismo. Senza condizioni e senza attenuanti.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

(23 ottobre 2014)