Setirot – I conti con il passato
“Per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inafferrabili e svelato la vita reale durante l’Occupazione”. È con questa motivazione – come ormai sappiamo a memoria – che l’Accademia Reale Svedese ha assegnato il Nobel per la Letteratura a Patrick Modiano. Il che ci sbatte di nuovo in faccia una brutta realtà – la vado ripetendo da molto tempo – e cioè che i francesi, come i tedeschi per altro, hanno saputo e voluto fare i conti con il proprio passato. A differenza di noi. Romanzi e film che interrogano e si interrogano e lacerano. Pedagogia della Storia. La Francia di Vichy conosciuta e vissuta al cinema o leggendo per esempio i Pierre Assouline (“La cliente”) e le Jacqueline Mesnil-Amar (“Quelli che non dormivano”). Grandi racconti di ciò che non si sa, minuziose malinconiche ossessive ricerche di un segreto o meglio di un vuoto, forse ‘del vuoto’, quel regno della colpa che è la Parigi dell’occupazione, della delazione, della paura, della deportazione e in seguito dell’occultamento.
Prendete “Dora Bruder”, di Modiano appunto. Lo lessi anni fa e più o meno così ne scrissi sul Corriere della Sera. È a metà anni Novanta che lo scrittore trova un avviso sul numero di “Paris-Soir” del 31 dicembre 1941: “Si cerca una ragazza di 15 anni, Dora Bruder, m 1.55, volto ovale, occhi castano-grigi, cappotto sportivo grigio, pullover bordeaux, gonna e cappello blu marina, scarpe color marrone. Inviare eventuali informazioni ai coniugi Bruder, boulevard Ornano 41, Parigi”. Una ragazzina come tante, fuggita dal collegio del Sacro Cuore di Maria, diretto dalle suore delle Scuole cristiane della Misericordia al 60 e 62 di rue de Picpus, nel 12° Arrondissement. Modiano non sa niente di Dora, le prime indagini non danno alcun frutto, e lui allora cerca, cerca senza tregua, cerca i pensieri, le mosse, i sentimenti, la vita di una ragazzina ebrea scappata da un collegio di suore per finire otto mesi dopo la sua fuga ad Auschwitz insieme al padre. Una storia in bianco e nero piena di sovrapposizioni – tra bianco e nero medesimi –, quindi ricca di grigi, nebbie dello spirito, inseguimenti di un’ombra tra i fantasmi attraverso strade, archivi, palazzi, percorsi, fotografie, documenti. Perché la realtà alla fine altro non è che la Storia. Modiano scopre che la piccola Bruder è nata all’ospedale Rothschild, dove partorivano le ebree povere appena immigrate in Francia dall’Europa orientale. Che anni dopo, Ernest e Cécile Bruder avevano il numero di fascicolo ebraico 49091, ma Dora no. Forse Ernest ha ritenuto che la ragazza fosse al sicuro in una zona franca, al Sacro Cuore di Maria. Forse. Forse non voleva che la sua bambina fosse etichettata come lui e sua moglie lo erano stati per la vita intera o quasi. Manovale. Ex austriaco. Legionario francese. Non sospetto. Invalido al 100%. Prestatore d’opera. Straniero. Ebreo. Ex austriaca. Non sospetta. Operaia pellicciaia. Ebrea. Perché Dora è fuggita? Dove è andata? Come è finita in lager al fianco del padre? Ma perché è scappata? Modiano cerca, cerca, cerca. “Sembra però che ciò che ci spinge a fuggire d’improvviso sia un giorno di grigiore e di freddo che ci fa provare una solitudine ancora più acuta e la sensazione di una morsa che si chiude”. E poi: “La fuga – a quanto pare – è una richiesta di aiuto e in certi casi una forma di suicidio. Ciò non toglie che per qualche istante si trovi una breve sensazione di eternità. Oltre ai legami col mondo, avete rotto anche quelli con il tempo”. E ancora cerca, respira l’aria che respirava Dora, guarda i palazzi che guardava Dora, pensa ciò che pensava Dora, forse. Forse. Cerca, a dispetto delle sentinelle dell’oblio che tutto hanno tentato e tentano di cancellare. Eppure – suggerisce l’autore – sotto quella spessa coltre di amnesia, si sente qualcosa, di quando in quando, un’eco lontana, soffocata, anche se nessuno è in grado di dire cosa, con precisione.
Stefano Jesurum, giornalista
(23 ottobre 2014)