…comunità

Minima comunitaria.‎ Cronache da una piccola Comunità ebraica, che meritano qualche riflessione. Si svolge a Padova l’annuale assemblea degli iscritti: presenti 30 persone su un totale di 186 iscritti. La dimensione demografica è quella di un modesto circolo del tennis di provincia, da considerare con la dovuta cautela perché in realtà una buona cinquantina fra gli iscritti non vive a Padova, e quindi è virtualmente estranea alla vita di comunità. Il trend di iscritti è in modesta crescita rispetto all’anno precedente, controtendenza assoluta rispetto alle altre comunità ebraiche. La comunità – intesa come gruppo di famiglie eredi di una presenza secolare – si è fortemente trasformata negli ultimi decenni: nuovi arrivi, molte partenze, grande ricambio generazionale. I miei nonni, per dire, non la riconoscerebbero più: non è più la loro comunità. Eppure è un segno di grande continuità e capacità di trasformazione. Un rabbino iperattivo propone un numero altissimo di iniziative culturali e di lezioni ai più vari livelli; un consiglio fortemente motivato assicura una presenza assidua e visibile in città, organizza incontri, conferenze, viaggi. Il minyàn in Beth hakenesseth è assicurato (quasi) sempre. Eppure nella discussione in assemblea emergono sentimenti di crisi che sono piuttosto contraddittori con quel che esprimono i numeri. Vi è la necessità espressa da molti di riuscire a dare sostanza collettiva ai numeri positivi del bilancio economico. Ci si sente in pochi, ci si sente in decadenza, schiavi di una secolarizzazione (alcuni usano la parola assimilazione) che sembra destinata a far soccombere l’esperienza ebraica padovana. Si discutono nella piccola realtà di Padova temi e dinamiche che probabilmente sono comuni anche ad altre realtà. Le domande da porsi mi sembra siano due: Possiamo legittimamente (da un punto di vista sociologico) aspettarci la strutturazione di una esperienza ebraica comunitaria condivisa, in una comunità come quella italiana dove i numeri già sono piccoli, ed esprimono comunque modi di vivere l’ebraismo molto differenziati anche all’interno delle stesse famiglie? È produttivo interpretare la secolarizzazione come un fenomeno che si contrappone in toto alla tradizione e alla storia ebraica? O non è più utile cercare di comprendere il fenomeno e ragionare sulle soluzioni che una comunità ebraica può adottare (in direzione di una autotutela) per far sì che la storia della comunità ebraica prosegua anche nel futuro? Io penso che sia necessario distaccarsi da quell’atteggiamento fatalista e un po’ masochistico che vede solo segnali negativi nei cambiamenti in corso. I cambiamenti ci sono, e penso che un gruppo motivato possa in qualche modo provare a interpretarli e governarli. Ad esempio cambiando l’atteggiamento verso il territorio. L’epoca del ghetto è finita da tempo, e dobbiamo essere consapevoli del fatto che la società in cui viviamo sarebbe diversa e peggiore senza i suoi ebrei, così come probabilmente gli ebrei (di sicuro quelli italiani) sono stati e sono fortemente influenzati dalla società maggioritaria. Quindi abbattere il più possibile i segni di separazione, lavorare per il territorio, è una necessità e una garanzia di sopravvivenza del gruppo. La visibilità della comunità ebraica significa anche trasformarla in polo di attrazione: è noto che nel territorio veneto (parlo di una realtà locale) sono presenti molti criptoebrei (ad esempio immigrati dall’est-Europa, israeliani) che semplicemente non sanno dell’esistenza di una comunità ebraica. Ma è necessario anche cambiare l’atteggiamento verso gli ebrei: di fronte all’ebreo del kippur, all’ebreo indifferente, all’ebreo che è iscritto solo perché vuole visitare liberamente la tomba della nonna, all’ebreo riformato, all’ebreo ortodosso, all’ebreo tradizionalista e tanti altri se ne potrebbero aggiungere, non ci si può limitare a proporre un modello di comunicazione unico che si vuole valido per tutti. Semplicemente perché questa multi-ebraicità non riconosce un unico linguaggio. Quando si capirà questo, credo, i 186 ebrei di una piccola comunità riusciranno a essere un po’ più coesi e propositivi.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(31 ottobre 2014)