Memoria – A Trieste il laboratorio
Il dolore della perdita

Appartenenze: Proprietà e beni in senso lato, materiali e immateriali. Di questo si è parlato per tutto il pomeriggio durante la terza sessione, moderata da Marta Verginella dell’Università di Lubiana (Slo), della prima giornata al convegno internazionale “Il valore del ricordo. La perdita dei beni e la memoria” in corso a Trieste presso il Magazzino delle Idee. Partendo dalle vicende vissute in città, attraverso l’analisi fatta dallo storico Franco Cecotti sui beni abbandonati dai “regnicoli”, i cittadini di lingua italiana provenienti dal Regno d’Italia, da distinguersi dai sudditi dell’Austria-Ungheria parlanti la stessa lingua, entrambi residenti in città e nei territori governati dagli Asburgo. La complicata precisione di quel mondo ora scomparso imponeva una ferrea gerarchia ereditaria tra gli abitanti della stessa città strettamente legata alla residenza, distinti tra “pertinenti” se presenti in un dato comune da generazioni, “forestieri” se provenienti da altre zone dell’Impero e ”stranieri”; ogni gruppo era portatore di propri diritti e doveri. Fin qui, niente di che. Ma nel corso dei decenni, a seguito di varie guerre, i confini mutarono e con essi lo status delle persone che passarono dall’essere forestieri a stranieri, costretti, prima della dichiarazione di guerra del 1915, a lasciare la città e ad abbandonare le proprie cose.
Ma un bene è anche la memoria. Ed ecco che, con Nina Vodopivec, antropologa sociale, è stato possibile esplorare, attraverso i racconti degli operai tessili dell’ex Yugoslavia, la trasformazione culturale, politica e cognitiva di chi si è trovato a lasciare, senza muoversi fisicamente, il mondo legato all’ideologia socialista per ritrovarsi immerso in quella capitalista nella neonata Repubblica di Slovenia. Si tratta di racconti registrati tra il 2000 e il 2011, periodo molto più recente. Riflettono un’analoga lacerazione, questa volta prodotta da un processo che costrinse le persone a dare nuovi significati e nuovi valori alla propria vita quotidiana, al proprio lavoro, modificando l’identificazione di sé a causa del cambiamento delle dinamiche e delle reti sociali.
Ogni narrazione porta in sé passato, presente e futuro e l’intervento successivo si è perfettamente innestato in questo significativo discorso della Vodopivec, chiudendo il cerchio iniziato da Cecotti. Trasportando di nuovo l’uditorio nel tempo e nello spazio Sari Nusseibeh, filosofo, presidente dell’Università Al-Quds di Gerusalemme ha parlato, partendo dalla propria esperienza familiare, del conflitto tra memoria e realtà vissuto da chi si trova nella condizione di profugo e che appartiene ad ogni essere umano che viva quell’esperienza.
Quando il ricordo personale di un individuo si innesta nella memoria sociale di un gruppo con un vissuto comune ma necessariamente non uguale e portato avanti dalle generazioni successive, si realizza un processo di appropriazione di qualcosa che non si può possedere fino in fondo, testimoni non presenti all’evento, con il peso della responsabilità di mantenere un ricordo che si accetta come vero perché “proprietà” dei propri cari, ma di cui non si può avere esperienza. Ed ecco che, forse, la conclusione che si può trarre da tutto questo è che ogni appartenenza porta ad un conflitto interiore e, in quanto elemento distintivo, alla perdita di un pezzo della propria identità comune in quanto esseri umani. Esserne 
consapevoli può aiutare ad accettare questa condizione e a decidere, con libertà, come agire e chi si voglia essere, in un equilibrio costantemente instabile.

Paola Pini

(7 novembre 2014)