primogenitura…

In merito alla vendita della primogenitura, per un certo verso si potrebbe quasi stare dalla parte di ‘Esàw: era stanco, particolarmente affamato, quasi si sentiva male dalla fame; nulla di strano, quindi, che pur di riprendersi fosse disposto a cedere la primogenitura. Tutto sommato, la vita umana ha la precedenza su ogni aspetto. D’altro canto, però, la Torà testimonia che ‘Esàw “mangiò, bevve, si alzò e se ne andò, ed ‘Esàw disprezzò la primogenitura”. In altri termini, dopo essersi ripreso dalla stanchezza e dalla fame non fece alcuno sforzo per cercare di recuperare qualcosa, dimostrando così che il disprezzo per la primogenitura, il disprezzo per l’impegno materiale ed etico di essere capo, guida e referente dei discendenti di Avrahàm era preesistente alla situazione di bisogno nella quale si era trovato.
I Maestri sottolineano che questa è proprio la caratteristica principe di ‘Esàw e della “esauitudine”: svendere quanto vi può essere di più sacro in cambio di qualcosa di estremamente materiale e contingente. Il “poco, maledetto, ma subito” riempie di sé l’Esaù eterno. In tutti i tempi esiste la tendenza all’edonismo, al trarre il massimo godimento immediato a scapito di qualunque valore etico, più duraturo. Ne sono testimoni le continue rapine, lo sfruttamento – anche non a scopo di lucro bensì di solo piacere – del corpo umano, l’uccisione di persone innocenti per far dispiacere ad un nemico; tutte notizie che leggiamo quotidianamente sui giornali o vediamo, spesso in maniera anche scioccante, in televisione.
Solo quando si accorge che, alla fine della fiera, consumato il piacere momentaneo non gli rimane nulla, mentre chi ha seguito la via di Ya‘aqòv (studio, valori dello spirito…) ha ancora dei valori, ha ancora delle frecce al proprio arco, l’‘Esàw di turno si sveglia accusando Ya‘aqòv – ossia Israele – di averlo raggirato e superato. In realtà, è lui stesso che si è scavato la fossa con le proprie mani.
Questa è una realtà che l’osservazione delle vicende umane nel corso dei millenni ha dimostrato sempre costante. Troppo spesso crediamo di trovare dei valori nel benessere materiale, che è tutt’altro che da disprezzare, bensì da relativizzare, e per esso si fanno passare in secondo piano valori permanenti: il messaggio sociale, etico ed ecologico dello Shabbàth, della Kasherùth, il significato universalizzante della Tefillà…
Dobbiamo riappropriarci concretamente dei nostri valori e porli nella giusta scala, per non ritrovarci depauperati degli uni senza avere più gli altri.

Elia Richetti, rabbino

(20 novembre 2014)